Giunti Editore

— Parola al traduttore

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Tiziana Lo Porto

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Tiziana Lo Porto

"Dire quasi la stessa cosa" è una serie di interviste ai nostri traduttori, per conoscere meglio questa splendida professione. Abbiamo parlato con Tiziana Lo Porto: abita tra Roma e New York, dove traduce e scrive di libri, cinema e fumetti per La Repubblica, Il venerdì e D. Ha tradotto, tra gli altri, Charles Bukowski, Tom Wolfe, Jacques Derrida, A.M. Homes, Douglas Coupland, James Franco, Lillian Roxon, Lena Dunham, e per Bompiani Eve Babitz, Virginie Despentes e Patti Smith.

Ti piace questo articolo? Iscriviti alla newsletter, non perderti il prossimo!


Quando ha deciso che voleva diventare un traduttore?

Anni fa, per amore di Bukowski. Amavo le poesie di Charles Bukowski, molte ancora non tradotte in italiano, e un giorno Marco Cassini e Martina Testa - che all'epoca erano l'editore e il direttore editoriale di Minimum fax - mi hanno chiesto se mi andasse di provare a tradurre uno dei suoi libri di poesie di cui avevano appena preso i diritti per l'Italia. La prova è andata bene, ho tradotto quel primo e poi un secondo libro di poesie di Bukowski, e non ho più smesso di tradurre.

Qual è stato il primo libro che ha tradotto?

Evita lo specchio e non guardare quando tiri la catena di Charles Bukowski.

E il prossimo che vorrebbe tradurre?

Da qualche anno traduco per Bompiani i libri di Patti Smith (ho tradotto M Train e Devotion) e il prossimo libro che vorrei tradurre è sempre il prossimo libro che scriverà Patti Smith (a breve inizierò a tradurre proprio il suo ultimo libro, Year of the Monkey, e questa cosa mi riempie di gioia).

Qual è secondo lei lo strumento più prezioso per un traduttore?

Il dizionario di italiano, e quello dei sinonimi. I sinonimi sono fondamentali. Tradurre significa anche esplorare la lingua italiana, spostare sempre un po' più in là i confini del proprio italiano.

Essere traduttore ha influito su di lei come lettore? In che modo?

Nei libri tradotti in italiano mi accorgo più facilmente se una parola non funziona.

Che tipo di legame personale crea con gli autori che traduce?

Traducendo, passi molto tempo dentro la testa dell'autore che traduci. A volte si creano legami immaginari, sicuramente nel caso in cui l'autore è morto. È successo con Bukowski, nel mio caso, che per anni ho considerato uno dei miei migliori amici pur non avendolo mai conosciuto, e soprattutto con Jim Carroll, che dopo averlo tradotto (Jim entra nel campo di basket) è entrato trasversalmente nella mia vita attraverso suoi amici che sono diventati anche amici miei, suoi posti preferiti a New York che sono diventati anche i miei posti preferiti e cose così. Se l'autore è vivo è anche meglio perché nella migliore delle ipotesi si finisce per diventare amici.

E con gli editori per cui traduce?

Anche qui, nella migliore delle ipotesi si finisce per diventare amici. I libri sono un territorio che aiuta a riconoscersi nelle affinità, negli amori letterari, nei libri e autori preferiti.

Qual è il ricordo più bello della sua carriera?

In ordine sparso: avere tradotto e conosciuto Patti Smith; avere tradotto Jim Carroll e conosciuto alcuni dei suoi più cari amici; avere tradotto James Franco che è diventato un amico (e torniamo ai libri e alle affinità: ci scambiamo prevalentemente consigli di libri). Ma spesso anche il tempo passato nella testa di uno scrittore amato è un privilegio, e la traduzione in sé è il ricordo bello, senza bisogno di azzerare i sei gradi di separazione tra te e l'autore del libro.

Quale libro vorrebbe aver tradotto?

Mi piacerebbe molto tradurre i libri di Maggie Nelson, che è quasi inedita in Italia (in particolare amerei tradurre Red Parts), e anche i libri di Leanne Shapton. Mi piacerebbe sapere lo spagnolo per potere tradurre Roberto Bolaño. È già magnificamente tradotto da Ilide Carmignani, ma amerei passare del tempo dentro la testa di Bolaño.

Pensa che il ruolo del traduttore viva la giusta considerazione nel mondo editoriale di oggi?

Sì e no. Noi traduttori tendiamo spesso a lamentarci troppo della scarsa considerazione, perdendo di vista le cose belle del mestiere. Chi traduce non lo fa mai con o per vanità, e se puoi tradurre autori che ami sai che il tempo della traduzione sarà un tempo sacro e un privilegio.

Che consigli darebbe a un giovane traduttore?

In ordine sparso: leggere sempre ogni frase tradotta ad alta voce, per cercare un suono che somigli al suono originale; prendere appunti, tenere un diario della traduzione, per non perdersi di vista mentre si è dentro la testa dell'altro; tradurre soprattutto (quando ci si riesce) i libri e gli autori che si amano; leggere le traduzioni degli scrittori italiani del Novecento (da Steinbeck tradotto da Elio Vittorini ai “quaderni di traduzioni” di Beppe Fenoglio o Giorgio Caproni a Joseph Conrad tradotto da Carlo Emilio Gadda): dagli scrittori che traducono altri scrittori si impara moltissimo.