"Dire quasi la stessa cosa" è una serie di interviste ai nostri traduttori, per conoscere meglio questa splendida professione. Abbiamo parlato con Gabriella Tonoli, traduttrice per noi di Pellegrinaggio al Tinker Creek di Annie Dillard e di La fine del romanzo d'amore di Vivian Gornick.
Ti piace questo articolo? Iscriviti alla newsletter, non perderti il prossimo!
Quando ha deciso che voleva diventare un traduttore?
Più che decidere di voler diventare traduttrice a un certo punto ho capito di essere traduttrice, e non lo dico con arroganza, ma più con la rassegnazione di chi confessa una dipendenza. Così sono passata dal tradurre per diletto a mettermi alla prova per capire se quella mia condizione incurabile poteva tramutarsi in mestiere.
Qual è stato il primo libro che ha tradotto?
Il primo lavoro con contratto e scadenza è stato il catalogo di una mostra su Van Gogh poco dopo la laurea: tempi strettissimi, una quantità infinita di cartelle piene di citazioni da controllare e ricerche bibliografiche, il tutto naturalmente mentre facevo altro. Una bella prima avventura.
E il prossimo che vorrebbe tradurre?
Mi fido degli editori per cui lavoro. Il prossimo libro che vorrei tradurre è sempre quello che mi fa scoprire un mondo e un’interpretazione del mondo che mi arricchiscono, mi illuminano e mi fanno riflettere, come mi è successo di recente con Vivian Gornick.
Qual è secondo lei lo strumento più prezioso per un traduttore?
Dizionari di ogni tipo, biblioteche e la rete, ma anche grande pazienza e dubbio perenne. E l’ascolto: dagli scampoli di conversazione al bar o sul tram, all’esperto che parla della propria materia, al testo che si sta traducendo fino a quello della propria voce che legge il testo tradotto.
Essere traduttore ha influito su di lei come lettore? In che modo?
Inevitabile. Tradurre è una lettura privilegiata di un testo e spesso la ricerco anche da semplice lettrice. Leggo un libro in originale e penso a come tradurlo, leggo una traduzione e penso a quale possa essere il testo originale, allora mi fermo e vado a cercarlo e rifletto sulle scelte fatte dal traduttore e sulla loro coerenza, poi non contenta mi viene la curiosità di vedere come la stessa frase, espressione o parola è stata tradotta in altre lingue che conosco… Questo, per fortuna, non avviene per ogni libro e per ogni parola, ma in qualche modo si crea sempre un certo livello di interferenza. Poi naturalmente la traduzione ha influenzato e continua a influenzare la scelta delle mie letture.
Che tipo di legame personale crea con gli autori che traduce?
Il legame che m’interessa è quello con la parola scritta ed è un legame, ancora una volta, di ascolto profondo: devo entrare nella testa dell’autore e capire bene cosa e perché e come ha scritto quel testo per riuscire poi a scrivere “quasi la stessa cosa”. Mi è capitato di contattare e conoscere alcuni autori tradotti, sono state esperienze positive e piacevoli, ma del tutto diverse dal legame che ho creato con loro sulla pagina scritta.
E con gli editori per cui traduce?
Di complicità e dialogo. Con editori di dimensioni più piccole come Keller ciò avviene con tutte le figure coinvolte, editore compreso, ma anche in realtà più grandi e strutturate cerco di stabilire un rapporto con le persone con cui collaboro. Un libro, che sia tradotto o no, è sempre un lavoro di squadra e preferisco non sentirmi il corridore di una staffetta che una volta passato il testimone si mette a sedere, mi piace essere coinvolta e che si instauri un dialogo sul libro che vada oltre la traduzione.
Qual è il ricordo più bello della sua carriera?
Quando Beatrice Masini mi ha scritto per propormi Pellegrinaggio al Tinker Creek di Annie Dillard, un libro straordinario dal quale sono uscita prosciugata come una rana aggredita da una cimice d’acqua gigante (se la metafora non è chiara vi suggerisco di leggere con quale maestria Annie Dillard descrive la cosa), e quando, successivamente, sempre lei mi ha proposto i libri di Vivian Gornick: è una grandissima soddisfazione quando un editore ti affida diverse opere di un autore, e un onore se l’autore in questione è Vivian Gornick, una donna di intelligenza acutissima.
Quale libro vorrebbe aver tradotto?
Che domanda, avrei un elenco infinito di libri… Quando leggo un bellissimo libro avrei voluto tradurlo, a prescindere dalla lingua, perché tradurre un libro significa abitarlo per diverso tempo e ci sono molti libri nei quali avrei voluto abitare. Due nomi: W.G. Sebald e Jamaica Kincaid.
Pensa che il ruolo del traduttore viva la giusta considerazione nel mondo editoriale di oggi?
Se per mondo editoriale intendiamo gli editori e tutte le figure coinvolte, alcuni hanno la giusta considerazione per i loro traduttori e altri no, a diversi livelli, ma questo succede in ogni professione e dopo un po’ di esperienza si prova a lavorare solo con gli editori con cui si è instaurato un rapporto di mutuo rispetto. Se parliamo di condizioni contrattuali in confronto ad altri paesi direi che la vita è meno agra di un tempo, grazie soprattutto a iniziative ammirevoli come quella di Strade e alla maggiore possibilità di fare rete tra colleghi, ma è comunque agra. Se parliamo di maggiore visibilità, personalmente non è quello che cerco.
Che consigli darebbe a un giovane traduttore?
Try again. Fail again. Fail better.
Al di là del capire se si ha una personale inclinazione per la traduzione, con tutte le sue ossessioni, e un’ambizione a essere funamboli senza il pubblico che applaude, sono profondamente convinta che il traduttore sia un artigiano e il giovane traduttore dovrebbe poter andare “a bottega”. Oggi molto spesso ciò non avviene più all’interno delle case editrici, quindi il consiglio per cominciare è quello di trovare il modo di costruirsi una propria personale bottega ricercando, in seminari e corsi e varie iniziative, la possibilità di lavorare sui testi con traduttori che per motivi diversi vorremmo avere come maestri (i nomi dei traduttori sul frontespizio di un libro possono risultare invisibili al lettore in generale, ma non devono passare inosservati all’aspirante o giovane traduttore). Per me sono state fondamentali le riflessioni e la pratica nel tempo con Giuliana Schiavi, Michele Piumini, Leonardo G. Luccone, Simone Barillari, Norman Gobetti e Beatrice Masini. E poi, lo dico di nuovo, armarsi di pazienza e umiltà, rispettare sempre le scadenze, mettersi sempre in discussione. E ascoltare.