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— Parola al traduttore

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Sara Marzullo

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Sara Marzullo

"Dire quasi la stessa cosa" è una serie di interviste ai nostri traduttori, per conoscere meglio questa splendida professione. Abbiamo parlato con Sara Marzullo, traduttrice per noi di Un'orchestra di piccole voci di Chigozie Obioma.

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Quando ha deciso che voleva diventare un traduttore?

Dal liceo in poi, ho sempre letto quasi più in inglese che in italiano: all’inizio avevo l’impressione che quella lingua permettesse una limpidezza e una disinvoltura che facevo fatica a trovare in quella in cui scrivevo, che, immergermi in un’altra lingua, significava poter essere anche un’altra persona e forse volevo portare quel nitore di qua. Poi però è diventata una questione più semplice: quante cose che leggevo, quante avrei voluto far leggere agli altri. Non so se sono diventata una traduttrice, ma l’idea di poter portare libri e pensieri da una lingua all’altra, da un continente all’altro, mi pare un privilegio enorme.

Qual è stato il primo libro che ha tradotto?

Un giorno su This Recording, una piccola rivista di personal essay statunitense che ora non c’è più e che però ha avuto il pregio di lanciare molti autori, ho letto un pezzo di Laura Hooberman e ho pensato che avevo incontrato una voce, una scrittura; mi era piaciuto così tanto che ho chiesto a Violetta Bellocchio, che a quel tempo dirigeva Abbiamo le prove, di tradurlo. Al di là di alcune cose di lavoro, la prima vera a propria traduzione letteraria c’è stata con la partecipazione a Le Visionarie, la raccolta di speculative fiction di Ann e Jeff VanderMeer, curata in Italia da Durastanti e Raimo. E poi Chigozie Obioma, il primo romanzo, la vera sfida.

E il prossimo che vorrebbe tradurre?

Ne avrei una lista infinita, ma su tutti Bluets di Maggie Nelson, Variety of disturbance di Lydia Davis e Tonight I’m someone else di Chelsea Hodson, per come usano la lingua e la struttura. Close to the knives di David Wojnarowicz perché ha una potenza e intensità uniche.

Qual è secondo lei lo strumento più prezioso per un traduttore?

I dizionari e la rete: la lingua si muove rapidamente e non si muove affatto. I Disintegration Loops di William Basinski.

Essere traduttore ha influito su di lei come lettore? In che modo?

Quando leggo in traduzione e trovo un’immagine che mi colpisce, cerco sempre di capire come si sia mosso il traduttore, quale sia la lingua oltre la lingua che vedo sulla pagina. Traducendo diciamo “quasi la stessa cosa”, appunto, e in quella potenzialità sta l’infinito linguistico, la possibilità della poesia. Se leggo in inglese, provo a capire come renderlo in italiano; in questo senso mi ha reso più consapevole sull’uso del linguaggio, ha espanso non tanto il vocabolario, quanto la capacità di pensare immagini, di produrre prospettive. 

Che tipo di legame personale crea con gli autori che traduce?

Con Laura Hooberman, che citavo prima, ci siamo scritte per lungo tempo e incontrate; negli altri casi non si è creata l’occasione e un po’ forse mi spiace. Al di là dell’utilità ai fini della traduzione, sento di aver abitato così a lungo quella lingua, quella voce, che mi resta la curiosità di conoscere la persona a cui quella voce appartiene.

E con gli editori per cui traduce?

Tendo a essere molto autonoma nel lavoro, in generale, ma il confronto con la redazione e i revisori è fondamentale; forse la fase in cui imparo di più

Qual è il ricordo più bello della sua carriera?

Ho tradotto talmente poco che non posso dir molto, se non che entrare in un testo, prenderne le misure, capirne il suono, è per me elettrizzante. Insieme al momento in cui ho ricevuto le bozze di Un’orchestra di piccole voci: che bello vederlo esistere nel mondo, dopo tanto lavoro.

Quale libro vorrebbe aver tradotto?

Per una questione di affinità, forse i romanzi di Jenny Offill e di Ben Lerner o i libri di Sarah Manguso. Qualsiasi cosa abbiano scritto Geoff Dyer e Vivian Gornick perché sono due menti che mi piacerebbe frequentare.

Pensa che il ruolo del traduttore viva la giusta considerazione nel mondo editoriale di oggi?

Penso che stia accadendo adesso che il traduttore sta assumendo un ruolo sempre più autoriale - banalmente sono sempre di più i libri sulla traduzione - ma, credo che la considerazione non dovrebbe passare da una trasformazione della sua figura in autore, quanto da un maggiore rispetto delle competenze specifiche.

Che consigli darebbe a un giovane traduttore?

Ah, i consigli che darei a me stessa allora! Leggi tanto, impara a capire il ritmo delle frasi, il modo in cui gli altri usano la lingua, il modo in cui la usi tu. Coltiva la pazienza. La traduzione è una forma di meditazione.

 

Per Bompiani Sara Marzullo ha tradotto