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— Parola al traduttore

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Matteo Lefèvre

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Matteo Lefèvre

"Dire quasi la stessa cosa" è una serie di interviste ai nostri traduttori, per conoscere meglio questa splendida professione. Abbiamo parlato con Matteo Lefèvre: insegna Lingua e traduzione spagnola presso l’Università di Roma “Tor Vergata”. Critico e traduttore, ha pubblicato saggi e monografie in materia di storia e teoria della traduzione. Per Bompiani ha curato L'ultimo spegne la luce di Nicanor Parra.

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Quando ha deciso che voleva diventare un traduttore?

Fin dal liceo ho amato la traduzione dalle lingue antiche e moderne, ma non c’è stato un momento, o comunque non lo ricordo, in cui “ho deciso” di divenire un traduttore. Più che “decidere”, diciamo che mi è capitata l’occasione di tradurre un libro quasi per caso, verso la fine del mio percorso universitario, e ho capito che quella del tradurre era una delle mie strade per avvicinarmi alla letteratura e alla critica, che restano i miei principali interessi e ambiti professionali.

Qual è stato il primo libro che ha tradotto?

La biografia di Malcolm X: Malcolm, di Bruce Perry, uscita per i tipi della Newton Compton. Era una traduzione dall’inglese, ma io da ormai vent’anni traduco solo dallo spagnolo!

E il prossimo che vorrebbe tradurre?

Medusa di Ricardo Menéndez Salmón, ancora inspiegabilmente inedito in Italia.

Qual è secondo lei lo strumento più prezioso per un traduttore?

L’esperienza e l’intuizione… ma anche la critica sull’autore che si traduce e qualche bel dizionario! E non guastano amici madrelingua da interpellare di tanto in tanto.

Essere traduttore ha influito su di lei come lettore? In che modo?

Moltissimo. Come hanno detto in molti, non si comprende appieno un libro finché non lo si traduce. In questo senso, la traduzione è una forma di ermeneutica.

Che tipo di legame personale crea con gli autori che traduce?

Se sono in vita, trovo utilissimo un confronto con loro. Li contatto, li vedo e spesso diventiamo addirittura amici.

E con gli editori per cui traduce?

Anche con gli editori instauro sempre un legame di collaborazione proficuo e generoso. Credo molto nel rapporto tra editore e traduttore; cerco sempre che questo non si limiti a un solo libro o a un impegno occasionale, bensì che generi una partecipazione comune a un progetto (ad es. una collana). La vedo, insomma, un po’ come Pavese e Vittorini

Qual è il ricordo più bello della sua carriera?

Senza dubbio, la lettura delle mie traduzioni della poesia di Gabriela Mistral durante l’inaugurazione del XXVI Salone del Libro di Torino (2013).

Quale libro vorrebbe aver tradotto?

Essendo io un ispanista romano e “trasteverino”, mi sarebbe piaciuto tradurre Roma, peligro para caminantes di Rafael Alberti, tradotto a suo tempo dal grande Vittorio Bodini.

Pensa che il ruolo del traduttore viva la giusta considerazione nel mondo editoriale di oggi?

Diciamo che da alcuni anni la figura del traduttore si sta rivalutando molto. Per chi, come me, è soprattutto un traduttore di poesia, si sottolinea giustamente la vocazione creativa che affianca la voce del poeta.

Che consigli darebbe a un giovane traduttore?

Studiare intanto le traduzioni dei maestri e comprendere quale ufficio splendido e gravoso sia tradurre. Poi, cominciare a scegliere una lingua da cui tradurre e con cui instaurare un rapporto profondo. Infine, battagliare per ottenere una prima occasione, come sempre nella vita.

Per Bompiani Matteo Lefèvre ha tradotto