"Amletica leggera" era una collana avviata negli anni Sessanta da Umberto Eco. Abbiamo deciso di portarla di nuovo in libreria, tra nuovi titoli e riscoperte brillanti, e abbiamo affidato il lavoro a Stefano Bartezzaghi, che cura per noi la collana. A lui la parola, quindi, per presentarvi la nostra idea editoriale.
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“Ridere o non ridere? Questo è il dilemma.” Era il 1967 quando un funzionario di Bompiani che si chiamava Umberto Eco inventò una nuova collana di umorismo e, con felice vena da calembour, la intitolò “Amletica leggera”. Era un calembour anche il primo titolo pubblicato, Autotem, una satira sull’automobile come status symbol scritta da un giornalista di Panorama che sarebbe diventato il maggior poeta dialettale italiano, il romagnolo Raffaello Baldini.
In quel primo anno uscirono anche libri umoristici sulle very important person (quei VIP che allora erano una novità da jet set) e sul sesso, nonché una raccolta dei Peanuts di Charles Schulz. Col tempo la collana pubblicò i libri della Mafalda di Quino, i primissimi libri di Woody Allen, lo sconcertante Malloppo di Marcello Marchesi, uno dei primi libri di Paolo Villaggio, Come farsi una cultura mostruosa, L'incompiuter di Enzo Jannacci e Beppe Viola... Fumetti, internazionalità e satira di costume furono i tratti distintivi di una serie di libri che appariva mentre l’Italia si faceva meno provinciale e cercava il proprio modo di vivere nella modernità e nel frastuono dei mass media.
Oggi che quella modernità ha cessato di promettere e far sperare, il dilemma se ridere o non ridere è ancora più stringente. “Amletica leggera” torna così con una nuova serie per proporre le scritture brillanti, i lampi dell’arguzia, le buffonerie dell’intelligenza, le sorprese del caso che ci possano convincere che non tutto è stato detto e di molto non abbiamo ancora visto il lato ridicolo o ironico o umoristico. Vuole riproporre capolavori del passato e cercare le nuove perle in un presente che non offre solo tormentoni, meme, insolenze che obbediscono alle inesorabili leggi della grevità. Fuori dalla comicità dei carrozzoni televisivi e dei moduli ripetitivi dell’industria dell’entertainment si può affidare alla carta stampata il compito di sovvertire il nostro usuale punto di vista sul mondo e mostrarci i cammelli celati nella forma delle nuvole. Come un Amleto che non la metta giù tanto tragica.
Cos’hanno in comune le ragazze da marito di oggi e quelle di una volta? Poco, o forse più di quanto sospettiamo. Quel che è certo è che oggi come allora il beau mariage non s’improvvisa. E per scoprirne le regole, tanto vale andare alla fonte.
Non ci sarebbe poi molto da ridere, in quei manuali che nel corso dei secoli della modernità hanno cercato di codificare la figura di una ragazza ideale: timorata delle tradizioni, fiduciosa nei consigli di madre e affini, ben disposta alla repressione dei propri istinti e soprattutto tesa alla soddisfazione dell’unico desiderio che è ritenuta poter avere: un buon matrimonio. Matrimonio, verginità, reputazione, prostituzione, dignità, libertà, lavoro, sesso e piacere: questioni colossali della società contemporanea che la briosa scrittura di Irene Soave attraversa con leggerezza e senza banalità, mentre snocciola i dilemmi fondamentali della sua amletica leggera. Non: essere o non essere; ma: esserci o farci? Cercarlo o non cercarlo (il marito)? Concedersi o non concedersi? Visitare i luoghi comuni vecchi e nuovi per scegliere quali rifuggire e quali è invece sensato adottare e adattare, per farli propri. Le ragazze da marito, infatti, esistono ancora. I ragazzi da moglie, meno.
Irene Soave porta in libreria il bon ton per le ragazze del nuovo millennio.