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— Parola all'autore

Dialogo con Wu Ming 4 a cinquant’anni dalla scomparsa di Tolkien

Dialogo con Wu Ming 4 a cinquant’anni dalla scomparsa di Tolkien

In occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa di J.R.R. Tolkien abbiamo dialogato con Wu Ming 4, che all'argomento ha dedicato Difendere la Terra di Mezzo, sull'importanza del grande autore britannico.


A cinquant’anni dalla scomparsa di J.R.R. Tolkien le sue opere continuano a conquistare lettori e lettrici e a ispirare narratrici e narratori di letteratura fantastica e non solo. C’è un prima e un dopo Tolkien. Quali pensi che siano le più importanti qualità della sua scrittura e della sua vena creativa?

La narrativa di Tolkien ha almeno tre punti di forza non facili da eguagliare. Innanzitutto la meticolosità del world building. La sua è un'impresa unica nella storia letteraria. È quella di un autore che dedica l'intera vita a dettagliare e approfondire il suo universo immaginario, partendo dalle lingue che vi si parlano, dotate di una stratificazione storica, e arrivando fino ai ramoscelli degli alberi genealogici; passando per la cosmogonia, la mitologia, la tradizione letteraria, l'etnografia e la geografia. Questo lo ha portato a una spasmodica ricerca della coerenza interna, ed è il secondo punto di forza. Ogni dettaglio inserito non è mai casuale, si colloca sempre in uno schema più ampio e complesso. Il terzo punto di forza è in apparente contraddizione con i precedenti, ma non meno importante, perché consiste nei coni d'ombra del racconto e negli spazi bianchi della mappa. Questi garantiscono quell'effetto di profondità che invita chi legge a interagire con quel mondo, per esplorarlo ancora. Poi, certo, va aggiunta anche la grande capacità di riutilizzare la tradizione letteraria antica e medievale, facendone materia per storie che parlano al presente. Tolkien ha saputo rimettere in gioco la mitologia e il folklore europei come pochi altri autori, e sicuramente lo ha fatto in una maniera molto diversa dagli scrittori modernisti suoi contemporanei.

Tolkien è considerato un maestro del genere letterario fantasy, uno dei padri nobili della letteratura fantastica. L’attribuzione di un genere così marcato è un punto di forza o una gabbia nella quale è stato recluso per troppo tempo?

Direi entrambe le cose. Per certi versi Tolkien è un autore che ancora sconta l'appartenenza a un genere narrativo considerato minore, se non addirittura “para-letterario”. Dunque sarebbe bene liberarsi dagli schemi dei generi e ragionare di narrativa tout court. Dall'altro lato è pure vero che proprio avere scelto il genere fantastico ha reso fondativa la sua opera. Un'autrice che è stata ampiamente ispirata da Tolkien, Ursula K. LeGuin, una volta ha detto che la narrativa fantastica può parlare della vita umana tanto seriamente quanto la sociologia, perché utilizza gli archetipi del mito e della leggenda, che sono universali. Il romanzo fantastico ha il potere di trascendere l'immediata contingenza storica e parlare della realtà perfino con più efficacia di un romanzo realistico. È quello che fa Tolkien, appunto, e che non solo sancisce la sua grandezza letteraria, ma ne garantisce anche la sopravvivenza nel tempo, generazione dopo generazione.

Tolkien ha creato l’universo di Arda e ambientato in quell’universo le sue opere considerate maggiori: Lo HobbitIl Signore degli Anelli e Il Silmarillion. Ma la lista di libri che portano il suo nome, pubblicati prima e dopo la morte, comprende opere che spaziano dalla mitologia anglosassone ai racconti per bambini. Cosa ne pensi di questo altro Tolkien?

Leggendo le opere di Tolkien pubblicate postume ci si rende conto di come il suo lavoro letterario muovesse inizialmente da esperimenti mimetici. Le opere giovanili sono riscritture in versi o in prosa di poemi medievali. Si comincia sempre copiando i propri autori preferiti. In certi casi Tolkien immagina alternative per quelle storie a cui è tanto affezionato, le modifica o le integra. A questa tipologia appartengono opere come La storia di Kullervo, La leggenda di Sigurd e Gudrún, il suo BeowulfLa caduta di Artù (oltre a una serie di poemi inediti in inglese antico e moderno). Tolkien approda alla forma romanzo moderna relativamente tardi, pubblicando Lo Hobbit all'età di quarantacinque anni, e ne impiega ancora diciassette a scrivere e dare alle stampe il famoso seguito, Il Signore degli Anelli. Nei romanzi gli elementi della tradizione letteraria medioevale vengono calati dentro una storia originale, che li ridefinisce e li ricontestualizza. Parallelamente Tolkien pubblica anche alcuni racconti e novelle, di tono relativamente leggero, come Foglia di NiggleIl cacciatore di draghi, Il fabbro di Wootton Major, ma che in realtà contengono riflessioni profonde sull'arte del narrare, sul rapporto col fantastico e ancora con la tradizione letteraria. Ma pubblica anche una raccolta di poesie “hobbit”, Le avventure di Tom Bombadil, e si cimenta con la scrittura per bambini in Mr Bliss e in Roverandom, anche questi pubblicati postumi. È impossibile individuare uno stile tolkieniano, non c'è un'opera simile all'altra, perché Tolkien ha sperimentato per tutta la vita. Non essendo uno scrittore professionista, ma un accademico con la passione della scrittura, godeva della libertà del principiante, che esercitava con il rigore di uno scrittore esigente.

È in corso di traduzione la Storia della Terra di Mezzo, opera in dodici volumi per la quale il ruolo del figlio Christopher è stato decisivo. In questi libri sembra di accedere al laboratorio di un artista. Cosa sta scoprendo il pubblico di lettori italiani che prima non era noto?

Il pubblico italiano sta in effetti scoprendo l'officina di uno scrittore atipico come Tolkien. Leggere la Storia della Terra di Mezzo significa ripercorrere le tappe del processo creativo di un modo immaginario tra i più complessi mai edificati. Poche volte nella storia letteraria è stato possibile avere a disposizione tanto materiale inedito, bozze, versioni, appunti, per ricostruire la nascita di un'epopea come quella di Arda. Ma tra quei volumi ci sono anche vere e proprie perle, come i due romanzi incompiuti, The Lost Road e The Notion Club Papers, e i poemi citati e ripresi nel Signore degli Anelli, e le parti che non hanno trovato posto nella versione pubblicata del Silmarillion.
Forse, l'unico difetto imputabile a Christopher Tolkien è di essere stato fin troppo filologico, di avere lavorato più in senso diacronico che sincronico, e di avere fatto sentire molto la propria presenza in quelle pagine. Ma del resto, la sua responsabilità di curatore testamentario e curatore degli scritti postumi non è stata facile da sostenere nel corso di quasi mezzo secolo.

I libri di Tolkien hanno avuto un impatto in ogni ambito della cultura. Gli adattamenti per il grande e piccolo schermo hanno dato una larghissima visibilità alle opere di Tolkien. Che cosa pensi abbiano aggiunto, che influenza pensi abbiano avuto sulla percezione della sua opera?

Io scoprii Il Signore degli Anelli al cinema, all'età di cinque anni, quando mi portarono a vedere il film cartone animato di Ralph Bakshi. E credo sia capitato a parecchi della mia generazione. Mentre per quella successiva la stessa funzione l'hanno avuta i film di Peter Jackson. Il cinema è stato strategico per diffondere la conoscenza dell'opera di Tolkien. E siccome cultura accademica e cultura pop si influenzano vicendevolmente, il cinema ha avuto una ricaduta molto positiva sugli studi tolkieniani in tutto il mondo, che hanno ricevuto un impulso mai visto prima. Certo non tutte le trasposizioni su schermo sono alla stessa altezza. La seconda trilogia di Jackson, tratta dallo Hobbit, non regge il confronto con la prima, e nemmeno la recente serie Tv Amazon sembra tenere il passo del Signore degli Anelli. In compenso ci sono svariati fan movies interessanti, ancorché realizzati con pochi mezzi, e molti videogiochi, giochi di ruolo e giochi da tavolo che interpretano egregiamente il mondo della Terra di Mezzo e lo espandono. Ormai l'universo tolkieniano si avvale del cosiddetto transmedia storytelling, cioè la prosecuzione del racconto attraverso diversi mezzi narrativi. Ed è un esito interessante per l'opera di un oscuro professore di Oxford che scriveva nel cuore del Novecento.

Una domanda più personale sull’esperienza di lettore di Tolkien. C’è un passaggio delle sue opere, un personaggio o un angolo di Arda che senti più vicino, al quale torni più spesso nelle tue riletture?

Ci sono alcuni passaggi su cui ritorno spesso. Uno è senz'altro il Consiglio di Elrond, forse il capitolo più strambo del Signore degli Anelli, col suo andamento ondivago e straniante, che contiene in nuce tutti gli sviluppi successivi della storia. Rileggo spesso anche il dialogo tra Bilbo e il drago Smaug nello Hobbit. Smaug è un villain bellissimo, che parla come un aristocratico inglese, e proprio come un aristocratico non accetta che il suo prestigio sia scalfito da un parvenu come Bilbo. È intelligente e scaltro, e Bilbo cerca di esserlo altrettanto, ma Smaug è più bravo, sa dove fare leva per rendere incerto l'avversario. Quel dialogo è uno scontro magistrale, che rievoca quelli celebri tra Odisseo e Polifemo, e tra Sigurd e Fafnir.
C'è un personaggio ultrasecondario del Signore degli Anelli che è uno dei miei preferiti. È l'elfo Gildor Inglorion, che mentre se ne sta andando dalla Terra di Mezzo, fa in tempo a lasciare agli hobbit un pezzetto di verità a proposito della Contea: il luogo in cui vivete non è vostro, qualcuno ci ha vissuto prima di voi e qualcun altro ci verrà dopo. Come dire che per certi versi – e sicuramente dal punto di vista millenario di un elfo – siamo tutti viaggiatori di passaggio. Ecco, questa visione elfica mi pare un buon antidoto per riuscire a difendere i luoghi che amiamo senza diventare degli ottusi xenofobi.