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— Parola all'autore

“Cicatrici”, il capitolo che non c'è

“Cicatrici”, il capitolo che non c'è

Il 13 gennaio 2021 usciva L’acqua del lago non è mai dolce e io non ero pronta al viaggio che il libro avrebbe fatto. Un anno dopo mi trovo a festeggiarlo e anche a salutarlo, per andare avanti. Girovagando nel mio computer mi sono imbattuta qualche giorno fa nei rimasugli, gli scarti, del romanzo. L’unico grande cambiamento che infatti il libro ha subito è stato il taglio del decimo capitolo, quello dedicato a Gaia e all’università. Mi sono resa conto che era un capitolo di passaggio, che non serviva e in cui io avevo forzato Gaia a un nuovo rapporto – ritrovato – con il personaggio di Samuele. Una volta tolto ho capito che andava bene lo stesso, il romanzo, anzi, “girava” meglio, come si dice in gergo, cioè funzionava. Ma questo capitolo non l’ho cancellato del tutto e ho pensato di condividerlo. Le scene che seguono – più gli assurdi appunti universitari di Gaia – vanno collocate prima della scena nella Faggeta in cui Gaia va a caccia del cinghiale con Cristiano. Questo capitolo è quasi un universo alternativo, una strada chiusa che avevo iniziato a percorrere. Rileggerlo mi ha fatta sorridere.

Giulia Caminito


Cicatrici

Capitolo eliminato da L'acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito

 

Nel cortile della facoltà di lettere e filosofia c’è una fontana, la chiamano la vasca perché sembra una piscina, è rettangolare, quasi sempre spenta, una volta ogni tanto qualcuno passa e ne pulisce la superficie limacciosa con un retino.

I primi giorni li trascorro nei bagni, a ogni cambio d’ora, esco dall’aula e mi infilo in quello che trovo libero, mi chiudo dentro, mi siedo e guardo gli avvisi sulla porta, si affittano camere, si vendono libri usati, si incita a riunioni, seminari, collettivi serali, le persone vivono anche dodici ore in facoltà, e a me già quattro portano all’astenia, le mani ghiacciate, la voglia di prendere la bicicletta e correre, raggiungere lo scoglio dove si posano di solito i cormorani.

Non sono abituata a tutte quelle parole, al fatto che se ne faccia vanto, da dove vengo io scrivere è distribuire segni a penna sul diario per ricordarti i compiti di algebra o l’appuntamento dal dentista, qui c’è chi già ha dichiarato di comporre poesie e liriche, chi porta con sé la sua agenda nera su cui appunta riflessioni sulla Creazione e Dio, c’è chi non si distrae mai, chi della propria genialità fa mito, chi ha molto chiara l’importanza delle tautologie; e poi ci sono io che a leggere le prime tre pagine di La critica della ragion pura ho voglia di staccarmi le vene dal collo, tirarle fuori, esporle al sole, perché bruciano.

Le persone cambiano quasi a ogni lezione, c’è un signore di settant’anni che è alla sua terza laurea, un uomo che lavora come guardia in carcere ma vuole studiare Foucault, una madre di famiglia con accento francese e quaderni a fiori che adora i suoi quattro figli ma non sopporta di stare chiusa in casa, studentesse dei migliori licei di Roma che si fanno i codini e le trecce, studenti di buona famiglia che già programmano il loro Erasmus a Berlino e sono appena tornati da un corso intensivo di francese in Bretagna: io ho visto San Basilio, poi ho visto Corso Trieste, poi ho visto la Giustiniana, poi Anguillara, poi la via Cassia e poco altro, non ho potuto partecipare a nessun campo scuola e non sono mai partita in gita spensierata con la famiglia. Mio padre negli anni è uscito solo una volta di casa per venire al mio compleanno e ancora ce lo rinfaccia, ci urla addosso che abbiamo abusato di lui.

Antonia ha dichiarato che va bene posso fare questa facoltà, che lei non comprende a cosa serva, in cosa possa essere impiegata, ma a una sola condizione: che io eccella e che ci metta il minor tempo possibile, non potrò mai essere una alunna fuori corso, una ritardataria, una bocciata, una da secondo o terzo appello, perché il ritardo costa, il ritardo è denaro.

Antonia col tempo ha capito che con questa laurea posso insegnare e da quel momento è diventata la sua unica gioia, sua figlia da grande farà la professoressa ma non nei licei - sarebbe un sogno troppo comune - nelle università: mia figlia avrà una cattedra, verrà chiamata ai convegni, mia figlia scriverà trattati d’estetica e interverrà davanti a centinaia di persone sul rapporto tra il corpo e la mentre, mia figlia diventerà una voce sull’enciclopedia, un link cliccabile su Wikipedia.

Sembri quasi innocua, quasi una persona per bene, dice qualcuno.

È un pomeriggio in cui sono seduta accanto alla vasca e sto leggendo il manuale di filosofia antica. Non alzo gli occhi da subito, immaginando che la frase non sia rivolta a me.

Forse saranno i capelli o questa gonnellina, ripete la voce e un’ombra oscura le parole del libro, allora capisco che la voce sta parlando con me.

Samuele ha sempre quelle labbra carnose, la faccia da bambino coperta dalla barba scura, mi sembra più alto, più corposo e solido e mi domando come ho fatto a dargli un pugno e a smuoverlo, il giorno sul terrazzo, adesso pare impossibile alterarne la pendenza.

Non rispondo niente e ci guardiamo pochi attimi poi lui si siede e tira fuori il tabacco, inizia a girarsi una sigaretta mentre io torno al mio libro fingendo che lui non sia lì, mi agita da subito vederlo in un nuovo contesto, incorniciato dal candore del palazzo alle nostre spalle, colpito da un sole autunnale che svela i difetti di tutte le cose.

Lui parla, racconta della scuola privata che ha frequentato, due anni o tre anni in uno, dell’estate in Alabama a lavorare in un ranch, dove mungeva le mucche e guidava un furgone, del padre che è morto d’infarto e del fatto che vorrebbe diventare giornalista, ma la scuola di giornalismo lo spaventa, ha deciso di iniziare con Scienze della comunicazione, poi chiede di Luciano e io rispondo solo che ho cambiato ragazzo, lui ci tiene a farmi sapere che Bellodemamma ha problemi di droga, cocaina, e che ha preso a botte uno dei suoi più cari amici, ora nessuno gli parla più, gira da solo per le discoteche di Roma nord trangugiando Gin Tonic e vestendo Gucci, spesso raccoglie con un dito il sangue che gli cola dal naso.

Non mi importa, dico tagliando corto, perché è la verità, non vengo attratta dal racconto della vita di Luciano, che ho depennato dalla mia esistenza subito dopo il furto e mai più riammesso nei miei pensieri o accolto tra i miei sensi di colpa.

Samuele domanda cosa studio, io rispondo svogliata ed elenco qualche corso che sto seguendo, poi noto che ha un taglio sul dorso della mano destra e chiedo cosa ha fatto lì, passiamo quindi cinque minuti a discutere della sua ferita e lui ci tiene a elencarmi una serie di cicatrici e di bruciature che ha collezionato negli anni in cui non ci siamo visti, i segni tangibili del tempo trascorso.

***

Appunti sparsi di una universitaria di provincia I

Il romanzo si afferma come strumento d’intrattenimento ed educazione, antinomia tra città e campagna, tecnica del narratore onnisciente che esprime giudizi etici, ha poteri quasi divini. Cime tempestose è frutto del Romanticismo e si colloca fuori dalla società. Ridondanza allegorica: una personalità dominante si dilata su tutto uno spazio psichico. La nave e l’equipaggio ispirano al Capitano di Conrad un senso di estraneità. Bisogna concentrare la scrittura sui momenti soggettivi ed epifanici. Woolf scava caverne intorno ai personaggi. Per i sindacalisti rivoluzionari bisogna mirare al sovvertimento dell’ordine borghese attraverso la guerra. Stalin aveva dalla sua parte la dura realtà. La società del benessere, modello USA, motorizzazione di massa, trasporto privato, importanza dei consumi individuali. Il Capitalismo elimina l’autoconsumo. Gran parte di quello che ci parla in un’opera d’arte sfugge all’intenzione dell’autore. Divisione del testo nei nuclei tematici, autopsia del testo? Persona, maschera, volto. Utopico è un rinvio della prassi. Ricerca su Bacon, modo di studiare la natura, Dafne e il mito della metamorfosi, problema del linguaggio, rapporto con Freud, tema religioso, poesia e verità in Goethe, metafora delle zanzare. No sentimentalismo, no pietà cristiana. L’uomo invidia la felicità dell’animale perché è legato al passato e non riesce a dimenticare. L’uomo è debole, converte gli eventi in carta stampata prima che finiscano. Siamo giunti alla vecchiaia dell’umanità che si guarda solo indietro. Per Adorno: mimesis e ratio, mito e Illuminismo, ingenuità e non ingenuità, non identità e identità. La libertà scissa dal suo contrario assume dei tratti oppressivi. Aushwitz mostra come qualsiasi tentativo di coprire la negatività sia una fuga dalla realtà del male. Gli intervalli impiegati da Achille per raggiungere la tartaruga diventano sempre più piccoli e il limite della loro somma converge. Una somma di infiniti elementi non è necessariamente infinita. Il moto di un proiettile è bidimensionale. Per Einstein l’etere non esiste in quanto non osservabile e quindi irrilevante. Un treno che viaggia viene colpito da due fulmini uno sulla coda e uno sulla testa. Il tempo è relativo alla posizione dell’osservatore. C’è chi vede i fulmini insieme e chi no. Alla fine del Medioevo finisce la lebbra, cosa farne dei lebbrosari? Sulla nave dei folli venivano caricati i folli scacciati dalle varie città. Folle = vagabondo. L’acqua porta via e purifica. 1656 decreto di fondazione dell’Ospedale Generale a Parigi. Si considera il lavoro come un rimedio generale a tutte le forme di miseria. Follia e delitto si implicato l’una l’altra. Bisogna che mai, chiunque è uomo avveduto, istruisca i propri figli così da farli sapienti oltre misura. Avere un padrone è indubbiamente un male anche più doloroso dell’avere marito.

***

La me sul treno va all’università e pensa che le stazioni dei treni sono deperite, hanno perso smalto, vernice, e fatto posto al verderame, ai trifogli tra le fughe delle mattonelle, ai graffiti sui graffiti sopra ai graffiti, ogni strato di scritte è come un anno di vita, un cerchio dentro al tronco d’un albero secolare.

La me sul treno ripete a mente le stazioni mentre passano fuori dal finestrino, sa quanta gente sale a Monte Mario la mattina, sa quanta scende a Valle Aurelia, sa l’orario dei turisti, sa quello dei militari da Cesano, sa quello degli impiegati, sa quello degli studenti, sa qual è la stazione più brutta – Gemelli perché è quella dell’ospedale e sta sotto terra – sa qual è quella con la fontana dove dietro si spacciano crack e pasticche, qual è quella così vicina alle case che dal treno riesci a vedere la tavola apparecchiata, la credenza aperta, un quadro sul muro, sa quali sottopassaggi puzzano di più di urina, quanto brucia la perdita di un treno mentre nel mondo piove il diluvio.

La stazione di Anguillara ora ha una pensilina più solida, più panchine sulla banchina, ma per passare da un lato all’altro e cambiare direzione bisogna sempre attraversare sulle tavole in legno inserite tra i binari, fare attenzione alla campanella che annuncia la chiusura del passaggio a livello. Si dice che un giorno un camion proveniente da una caseificio sia rimasto incastrato tra le sbarre ormai abbassate e travolto da un convoglio – formaggi e latte dappertutto - si dice che una ragazza camminando con le cuffie infilate nelle orecchie non abbia sentito il treno fischiare se non all’ultimo e che invece un padre di famiglia si sia sdraiato sui binari col figlio in braccio, uomo moro e bambino biondo, perché la moglie aveva chiesto il divorzio e il suocero lo aveva licenziato dal Centro Revisioni Automobili in cui lavorava.

Le persone negli anni si sono rinnovate, alcuni dei vecchi compagni di viaggio adesso lavorano, alcuni frequentano altre università, alcuni la me sul treno finge di non conoscerli e ha smesso di salutarli perché hanno visi aguzzi e ciondoli al collo molto costosi, ma la gente è rimasta tanta nelle ore di punta, i mucchi di zigomi e gengive, l’odore di sigarette e sigari sui cappotti, gli starnuti e i nasi che sbuffano, le borse di pelle che segano all’altezza delle ginocchia o dei reni, i foglietti posati sui sedili da qualcuno che si finge sordo e muto e vuole chiederti soldi per comprare latte e biscotti – i figli, le malattie, il cibo, la carità - i venditori di accendini, il capotreno che litiga e insegue, scavalca e urla, dice buongiorno e buonasera, ride, zoppica e cade, il capotreno deriso, il capotreno comandante che fa scendere le persone in piena campagna perché c’è la neve e non si riesce a raggiungere la stazione di Cesano.

Da giorni non si parla d’altro che della ragazza violentata a La Storta, era salita sull’ultimo treno verso le ventitré e si era trovata da sola, un uomo allora le si era avvicinato con un coltello e l’aveva costretta a seguirlo, lei aveva tentato di opporsi ma quello le aveva piantato il coltello nella pancia, lei aveva urlato, aveva perso sangue, un passante li aveva sentiti e poi trovandosi vicino a una volante della polizia aveva chiesto di intervenire.

La donna è una giovane studentessa di origine africana che segue lezioni in inglese all’Università della Sapienza, l’uomo un romeno che abita in un riparo di fortuna, sotto una tettoia sistemata con perizia tra un tubo di scarico e una rete. Lei si era attardata con degli amici in facoltà, lui gironzolava intorno alla stazione sperperando le ore e i giorni.

Così può accadere a tante altre che da Roma rientrano in provincia e fanno tardi e si dimenticano che questo non è un mondo dove arrivare dopo sia concesso con levità.

La notizia si è sparsa, si stanno inseguendo le dichiarazioni dei politici, in piena campagna elettorale per la corsa a sindaco di Roma, sul dilemma sicurezza, sugli stranieri che ciondolano al buio e quando rientri a casa ti aspettano sull’uscio, si portano sempre dietro forchette appuntite e pistole cariche.

Nelle stazioni vengono montate delle colonnine di sicurezza con un bottone tondo e rosso da spingere in caso di difficoltà, sopra al bottone c’è una icona grafica, è la silhoutte di un carabiniere, se ti seguono, se ti aggrediscono, se ti tampinano puoi chiedere soccorso immediato.

Peccato che molte non vengono neanche attivate o collegate alla corrente, restano lì, ancora coperte da una sottile plastica che si muove al vento, fantasmi di una emergenza già dimenticata, il ricordo sbiadito di una ragazza a cui hanno bucato la pancia.

***

Appunti sparsi di una universitaria di provincia II

Che cosa possiamo conoscere? Che cosa esiste? La morale ha come oggetto i valori. L’uomo tende a spiegare i fenomeni partendo dalla nozione di colpa. Ciò che è più importante per noi è un fatto puramente culturale. Per ogni enunciato x, x è dotato di senso se e solo se è verificabile. Una teoria è scientifica se e solo se è falsificabile. Per stabilire se esiste progresso scientifico di tipo conoscitivo bisogna guardare al linguaggio matematico con cui le leggi naturali sono scritte. La probabilità che si verifichino due eventi A e B è data dal prodotto della probabilità di A per la probabilità di B. Keplero astrologia lunare e planetaria, paralipomena, la luce ha velocità infinita, immagine mentale, anatomia dell’occhio, dioptrice, Galileo, le forze che muovono i pianeti, Geothe e il dibattito con Newton sui colori. A=A, stella del mattino= stella della sera, è sempre Venere, il significato è il referente cioè l’oggetto a cui ci si riferisce, il senso è il modo in cui viene presentato l’oggetto. Tutti gli enunciati veri hanno lo stesso significato. Il concetto uomo non è vuoto. Cosmosemiosi: è lecito parlare di segni anche per il mondo inorganico. A nessuno dei parlanti importa che sia scelto un segno piuttosto che un altro, l’importante è che i segni siano condivisi allo scopo della comunicazione. Alle scimmie manca l’intenzionalità e l’interpretazione. L’imprinting delle oche si verifica spontaneamente. La conseguenza logica: Alberto è in casa, la luce è accesa, ma la luce non è accesa, dunque Alberto non è in casa. Margherita cammina è una proposizione la cui dimostrazione è costituita dall’osservazione che Margherita cammina. Tutte le formule atomiche sono formule. Nel mondo greco l’etica si riferisce alla felicità, cosa dobbiamo fare per essere felici? Nell’Iliade l’ira è il motore della narrazione, come si controlla l’ira? Odissea, vince Ulisse che sa controllare le sue passioni. Saggio può essere anche colui che compie un gesto violento (Achille). Agatòs non è equilibrio, ma è la capacità di esercitare violenza, di prevalere sugli altri, l’onore va difeso con la forza. Il 1700 è il secolo dell’Estetica. Arte, forma, bello, creatività, imitazione, esperienza estetica. Secondo Novecento tornano i nessi tra la carne del mondo e quella dell’uomo. Un filosofo deve spiegare le sue osservazioni e giustificare le sue passioni. Che cos’è la virtù? La possiede chi non sa compiere ingiustizia. Il sapere allontana dal male. L’uomo non deve mai essere considerato come mezzo ma sempre come fine in se stesso. E la donna? L’unica cosa certa è che se dubito allora penso e allora esisto. Il genio maligno cerca di imporre delle risposte sbagliate. Anche i concetti che si riferiscono a cose non esistenti (asino volante) attingono a concetti reali (asino e volare). Il discorso apofantico può essere vero o falso. Il linguaggio di Aristotele è volutamente terra terra. Elisabetta nasce nel 1618 da Ferdinando V che diventerà Re di Boemia. Elisabetta ha sofferto per non aver vissuto con la madre da piccola. Elisabetta entra in convento e muore a trenta anni, dopo Cartesio. Elisabetta è consapevole di avere problemi psicologici. Elisabetta capisce che le passioni incidono sul suo corpo, il controllo non può essere continuo. Ne L’idiota della famiglia Sartre si occupa della nevrosi da Flaubert che lo porterà alla sua attività letteraria. Che cosa si può sapere di un uomo oggi? Come parlano i mal amati? Come parlano gli scarti, coloro che sono considerati insufficienti. Flaubert è colui che non parla. Non parlare non vuole dire essere muto, ma essere gesto e non atto, essere inerte, meccanico. Estrangement: estraneamento, processo che porta qualcosa a essere. Per Sarte la vita quotidiana è un grande teatro. La filosofia è un cantiere. L’animalità è immanenza e si esprime quando un animale ne mangia un altro. L’animale consumato da un simile è solo consumato e distrutto. Ai nostri occhi l’animale è nel mondo come l’acqua nell’acqua. La morte è sacra, la vita è profana. La messa a morte è una maniera di riparare l’offesa. La guerra è una invasione disordinata. Il sacrificio umano è la più radicale contestazione dell’utilità. L’atto estetico è forma e nient’altro che forma.

***

Alla laurea ho preso centodieci senza lode, Antonia è venuta in facoltà per la prima volta, ha indossato dei pantaloni neri e una giacca, si è messa a dieta una settimana per risultare più sirena, ha comprato un vassoio di pastarelle dal forno che conosce lei, i bignè al pistacchio erano coperti di una glassa color menta e sapevano di sciroppo per le granite, le ciambelle erano state fritte giorni prima, a strizzarle sudavano olio e faceva puf, e il cioccolato aveva lo stesso sapore della crema.

Io e Samuele ci siamo guardati davanti alla vasca e lui mi ha presa in braccio e mi ha buttata nella fontana e poi è entrato anche lui e sono arrivati dalla guardiola della facoltà a dire che avrebbero chiamato la polizia. Samuele era ubriaco dalle dieci di mattina e si era messo a raccontare a mia madre del mangime più adatto per le mucche da latte, rispolverando vecchie competenze del suo viaggio nel sud degli Stati Uniti e pensando che fossero un possibile terreno comune tra loro: la mungitura, l’essere dediti all’alcol.

Non so se ero felice, non so se ero soddisfatta, non so se ero e cosa ero. Mi stanco così tanto a studiare e sono così abituata a quella stanchezza che è ormai una posa per me, un abito da lavoro, non c’è stato esame per il quale non abbia sofferto, tangibile dolore muscolare e morale, vivida sensazione di morte e sepoltura, a volte studiavo in dosi talmente massicce che poi non ero soddisfatta delle poche domande ricevute all’esame orale e ne domandavo altre, dicevo: ancora, ancora, fatemi dire tutto quello che so.

Non studiare più vorrebbe dire vivere in una cella frigorifera, la carne da macello - le zampe, le costolette, i musi equini e suini – verrà portata via, resteranno pareti spoglie e ganci appesi, qualche striscia di sangue a terra.

Antonia mi ha guardata uscire gocciolante dalla fontana e con le calze rotte e si è asciugata il rimmel colato che si era messa per l’occasione, ha pianto tanto che le è sceso fino al mento, le pasterelle erano rimaste al sole, si stavano squagliando, e i gemelli con quelle loro bocche piccole, la barba rada e i pantaloni al ginocchio potevano essere scambiati tranquillamente per il servizio pulizie o gli operai che riparano da tre mesi il tetto della facoltà. Mariano non s’è visto, nonostante il mio invito e le mie telefonate, pare abbia cambiato di nuovo casa e ora stia in uno stabile occupato dalle parti di Tor di Nona, dice che quella mattina doveva esserci un’assemblea plenaria e le assemblee plenarie non possono essere rimandate e tutti e tutte bisogna partecipare e le lauree sono come la carta velina, colorate, adatte per dei bei pacchetti e inutili, si rompono subito.

Solo ad Antonia questo riconoscimento sembra il passaggio a una nuova epoca, il segnale luminoso del nostro avvenire, per lei sono ancora un bel tappeto, persiano, ben intarsiato, che pochi alzano per controllare cosa vi sia annidato sotto, quanta polvere, quante cimici.

La lode non l’ho presa perché la mia scrittura è catastrofica, sbrecciata, si perde in divagazioni, non è oculata, precisa, scientifica, l’ultimo capitolo era dedicato all’ossessione di Benjamin per Baudelaire e la mia tesi senza antitesi era che lo odiasse e ad averlo davanti lo avrebbe ammazzato, altrimenti perché accanirsi tanto sul numero di scarpe, sui giornalai dove comprava quotidiani, sull’impotenza, su sua madre.

Il mio relatore mi ha chiesto di togliere quel capitolo e io non l’ho fatto, anzi ho aggiunto un racconto in appendice sul dialogo possibile tra la grande città (Parigi) e il piccolo flâneur (Benjamin), ho scritto:

Lui: Non ci sarà mai posto per il mio anello ferroso, io che non posso regalarti diamanti.
Lei: Il ferro serve a costruire e non a conquistare. Dovresti saperlo.
Lui: Ma io ho camminato, per te. Ho vagabondato, ho pianto. Sento i crampi della fame…
Lei: C’è molto di che cibarsi. Dovevi solo aprire le fauci e attendere. Da me, si mangia sempre.
Lui: Voglio digiunare, strappare queste banconote, passeggiare solo sui ciottoli. Accompagnami…
Lei: La tua via è troppo lunga, io devo poterle percorrere tutte e in poco tempo. Chi ha pagato ha la priorità, perché può sia costruire che conquistare.
Lui: Io vorrei sposarti, sederci insieme per ricordare chi sei stata.
Lei: I ricordi sono pericolosi, soprattutto quelli appena trascorsi. Io devo crescere e dimenticare.

Antonia lo ha letto e ha chiesto se era uno scherzo e io ho risposto di no che era un dialogo immaginario, una costruzione narrativa di fantasia, lui era il passante, lei era la città, allora mia madre ha osservato che non si può chiacchierare a tu per tu con una città e io le ho fatto notare che nei libri si può fare tutto e la colpa se lo so è sua, mi ha spinta lei a leggere.

Alla fine Antonia ha detto che secondo lei questo nuovo ragazzo che frequento non ha tutto apposto, non ha niente apposto, anzi, proprio è storto e mi fa dire cose storte, io le ho risposto che è un vecchio ragazzo, quasi antico ragazzo, proprio da cantina, ma lei non ha fatto no con la testa, non ha capito.

Samuele non ha mai avuto un senso nella mia vita, non l’ho mai considerato per la sua utilità, per la sua bella presenza o il piacevole eloquio, è sempre stato superfluo, mordace, equivoco, è uno di quei ragazzi che ho preso a schiaffi e che dovrebbero pensarmi molesta, la nostra non è neanche una storia, non è un legame preciso, è solo un vedersi in facoltà, un rivangare i tempi in cui lui faceva il genio ribelle e io sempre la studiosa incompresa.

Quando gli ho raccontato alcuni miei crimini mai scoperti ha risposto che erano proprio cose da me, che mi vedeva adatta ad appiccare incendi, a inventare omicidi, e a me questo suo riconoscimento ha un po’ indispettita, mi aspettavo molte grida di disappunto, non tale acquiescenza, il suo comprendere.

Allora ho pensato che non saremmo durati a lungo e non gli ho mai detto, mentre mi aspettava gocciolante fuori dalla vasca e aveva l’aria di un cencio strizzato, come mi ero apparecchiata la festa della laurea.

Lui ha chiesto: Andiamo a cena stasera?

Io ho risposto: No, ho una cosa importante da fare.

Giulia Caminito