Giunti Editore

— Parola all'editore

Valentina Crepax, non il fumetto

Valentina Crepax, non il fumetto

La settimana scorsa se n'è andata all'improvviso Valentina Crepax. La salutiamo così.



Confidò una diagnosi preoccupante mentre stava inviando le seconde bozze. È stata ricoverata poco dopo, ma intanto aveva concordato gli ultimi dettagli della copertina. “Tranquilli,” diceva allo staff editoriale, “non uscirà postumo.” E invece Valentina Crepax se n'è andata in un lampo, non appena dato il “si stampi” a un libro, Io e l’asino mio, che peraltro è il più vitale e, pure nel dolore già sofferto, allegro che mai avrebbe potuto scrivere.

Aveva cominciato su Facebook a raccontare aneddoti e a rivelare, con la sua apparente non-curanza e con il suo stile milanesissimo e spiccio, scorci della vita di una famiglia che è stata ed è davvero eccentrica a partire già dalle vicende onomastiche del casato. Il padre, Franco Crepax, produttore discografico; lo zio, Guido Crepas in arte Crepax, illustratore e poi inventore di un fumetto destinato a diventare un culto supremo per l'erotomania anni Settanta, fumetto alla cui protagonista diede lo stesso nome della sua allora giovanissima nipote in carne e ossa: Valentina. Per la collana dell'Amletica Leggera di Bompiani, che in quel periodo stava gettando le sue fondamenta, pareva l'occasione giusta. La prima serie della collana era appunto nata dalla Milano di quei tempi, la stessa che inventava la nuova editoria, che produceva i nuovi giornali, i nuovi libri, i nuovi film, la nuova musica, i programmi televisivi, i fumetti...

Valentina Crepax lo ha scritto davvero, il libro, forse per reazione ai lutti recenti che l'avevano colpita ma certamente con l'orgoglio per il carattere pugnace e sprezzante che l'eredità famigliare ricevuta e tramandata prescrive di mantenere nei confronti di ogni evenienza ci sia destinata.

Ne è uscito un libro che personalmente considero esilarante e esemplare, germogliato fra lacrime e risate, composto di cose scritte punteggiate da altre cose che scrivere non si sa o non si deve o non si vuole ma che sono alla portata se non degli occhi dell'intelligenza della lettrice e del lettore.

Valentina finì di scrivere il libro quando nessuna sentenza era stata ancora emanata; lo consegnò e disse subito: “Ecco, ora fatemene scrivere un altro, ché non ho voglia di stare senza far niente.” Era una battuta, era un'esortazione, era un'intenzione: più di ogni altra cosa era un messaggio.

 

Stefano Bartezzaghi

31 luglio 2020

 

Valentina Crepax