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Nuove traduzioni. “Orlando” di Virginia Woolf

Nuove traduzioni. “Orlando” di Virginia Woolf

L'opera di rinnovamento del catalogo Bompiani passa, come lettori e lettrici sanno bene, anche dalla commissione di nuove traduzioni di opere amate e celebri e di autori e autrici importanti. Vi raccontiamo la storia di Orlando di Virginia Woolf, ritradotto da Mario Fortunato per i Classici contemporanei, di cui proponiamo parte dell'introduzione al romanzo.

Non riuscivo a spremere una parola; e alla fine mi sono presa la testa fra le mani: ho intinto la penna nell’inchiostro, e su un foglio bianco ho scritto queste parole in maniera automatica: Orlando: Una biografia. Non appena l’ho fatto, il mio corpo è stato invaso dall’estasi e la mente dalle idee. Ho scritto di getto fino alle 12.

Così Virginia Woolf scrive nell'ottobre 1927 a Vita Sackville-West. Da quel momento, la Woolf scrive più o meno di getto fino alla primavera successiva, quasi senza ripensamenti, con una felicità creativa pressoché unica nella sua esperienza di scrittrice. 

Nel diario, Orlando è per lei un gioco, un divertimento, uno spasso, in cui si finge una biografa alle prese con la vita vera di un giovane nobiluomo che nasce al tempo di Elisabetta I, e che continua a vivere fino al 1928, anno di pubblicazione del libro, avendo nel frattempo attraversato, oltre che diversi secoli, anche un cambio di sesso, e avendo sposato un bizzarro cavaliere e pubblicato un poema la cui stesura è durata più o meno trecento anni. Al contrario che in Al Faro, dove i nomi dei protagonisti sono contraffatti in modo che i genitori dell’autrice non siano immediatamente riconoscibili, permettendo così l’emergere dei sentimenti più profondi nei loro confronti, qui il procedimento è inverso: quasi ogni particolare del/la protagonista è sfacciatamente ricalcato sull’esistenza di Vita Sackville-West e dei suoi avi, mentre i sentimenti di chi scrive sono occultati con cura. 

E tuttavia il libro è e non è il ritratto di Vita. La Woolf usa lo schema della biografia un po’ per farsene gioco (in fondo, la biografia è l’ultimo bastione del realismo – e si sa quanto lei disprezzasse il realismo) e un po’ per dare luogo a un racconto fantastico che finge di essere il contrario – il racconto veridico di una vita. Anche se lei stessa nutrì qualche dubbio sul risultato, annotando che forse il testo era “troppo lungo per essere uno scherzo, e troppo frivolo per essere serio”.

A ogni modo, Orlando rappresentò un autentico turning point (lo scrive anche Leonard Woolf nelle sue memorie) nella carriera della scrittrice. Quando uscì, nell’ottobre 1928, le vendite furono subito generose, e l’edizione americana andò anche meglio. La Woolf divenne una scrittrice di successo, al punto da far dire a qualcuno che il libro, definito dal figlio di Vita, Nigel Nicolson, “la più lunga e seducente lettera d’amore della storia”, fosse piuttosto la più lunga e seducente lettera d’amore scritta dal romanzo colto al romanzo popolare.

Ricapitoliamo: Orlando è la biografia che diventa romanzo di un eroe che diventa un’eroina. Non ci vuole molto a capire che il suo tema non è l’immortalità né il sesso né la letteratura né la stessa Vita Sackville-West a cui il libro è dedicato e di cui dovrebbe essere il ritratto. Il tema è piuttosto lo slittamento o, meglio ancora, la trasformazione, la metamorfosi: di un corpo nell’altro, di un sesso nell’altro, di un genere nell’altro (e alludo tanto all’identità di genere quanto al genere letterario). Ecco perché Orlando è il romanzo della modernità: perché racconta la vita attraverso una vita individuale che però è sempre, in ogni momento, il prodotto di svariati secoli di vite altrui. In altre parole, è la somma totale di una vita, il cui punto d’approdo è sempre qui, sempre ora – se è vero che moderno è un altro modo per dire adesso.

Ed è moderno un aspetto che potrebbe essere fin qui sfuggito a molti lettori italiani del romanzo: l’uso delle immagini disseminate nel testo. Quasi tutte le edizioni italiane di Orlando hanno finora “dimenticato” di riportare le foto e le riproduzioni di quadri, che l’opera originale contiene. Eppure è evidente che tali immagini non sono illustrazioni esornative, ma parte integrante, coessenziale del testo: fingendo di sottolinearne il carattere storico-scientifico – la sua pretesa d’essere uno studio biografico – in realtà ne esaltano la materia romanzesca, visionaria, e in definitiva menzognera.

Ma non dimentichiamo che un testo, qualsiasi testo, è prima di tutto la sua lingua. La lingua di Orlando è fresca, scintillante, veloce, ludica, spiritosa, eccentrica, camp. Ama l’eccesso, l’iperbole, eppure scorre concreta e precisa. A propria volta, mescola e rimescola i generi. Orlando è insomma ogni vita nel suo farsi, in divenire, ignara del senno di poi. Non solo: il protagonista che diventa la protagonista si libera progressivamente dai lacci della quotidianità e, anche quando si sposa, il suo matrimonio sembra un’avventura stravagante & divertente, non un giogo da sopportare. La liberazione avviene soprattutto grazie alla scrittura (la scrittura del poema intitolato La quercia a cui Orlando attende per secoli) di cui il/la protagonista sperimenta tutta la carica eversiva anche e a maggior ragione nel momento in cui il testo, pubblicato, viene insignito di un premio e ha successo. È allora che Orlando si chiede:

Che c’entravano le lodi e la fama con la poesia? Che c’entravano sette edizioni di un libro (era arrivato a tanto) col suo valore? Scrivere poesia non era un atto privato, una voce che risponde a una voce? Tutte quelle chiacchiere e lodi e critiche e incontrare gente che vi ammira e altra gente che non vi ammira affatto, cosa c’entrava con la cosa in sé – quella voce che risponde a una voce?

La voce di Orlando – maschio o femmina che sia – è una voce rivoltosa che vuole, che cerca la “cosa in sé” – la poesia, la vita. In questo senso, il suo finale è utopico: perché rivendica una libertà sconosciuta alla storia – all’epoca vittoriana appena tramontata come ai fascismi degli anni trenta, incombenti in tutta Europa. È una libertà che è sempre qui, sempre adesso, e che va ogni volta riconquistata con orgoglio.

Di Virginia Woolf nel catalogo Bompiani