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— Parola all'editore

La poesia del mese. Maggio 2020

La poesia del mese. Maggio 2020

Cos’è la poesia che non salva
i popoli né le persone?
Una complicità di menzogne ufficiali,
una cantilena di ubriachi, a cui fra un attimo verrà tagliata la gola,
una lettura per signorinette.

Che volevo una buona poesia, senza esserne capace,
che ho capito, tardi, il suo fine salvifico,
questo, e solo questo, è la salvezza.

Czesław Miłosz, Prefazione, 1945

È passato da poco il 24 maggio, anniversario dell'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale, e il nostro consiglio di lettura per l'occasione è stato Le notti chiare erano tutte un'alba. Antologia dei poeti italiani nella prima guerra mondiale a cura di Andrea Cortellessa.

Per la rubrica della poesia del mese, abbiamo scelto di proporvi un testo di un autore diventato ormai un classico della poesia del nostro Novecento, Clemente Rebora. Il poeta milanese viene richiamato al fronte il 15 marzo 1915 come sergente, presta servizio in caserma (a Milano e poi nel bergamasco) e successivamente al fronte, in Val d'Astico. Le cose precipitano presto: Rebora viene spedito in una zona del fronte più turbolenta, tra il Calvario e il Podgora, gli stessi luoghi dove in quello stesso anno avrebbe perso la vita Scipio Slataper. Lì assiste in prima persona alla carneficina della guerra di posizione fino a che non gli viene promessa una licenza per Natale. Ma il 19 dicembre, poco prima della partenza, la sua trincea è investita da un obice da 305 mm. Rebora resta sepolto sotto la frana provocata dallo scoppio, ha un violento trauma cranico e, dissotterrato, è portato all'ospedale da campo: in pieno e violento esaurimento nervoso, inizia per lui una serie stremante di visite e ricoveri, anche in manicomio. Ciò non gli impedisce di pubblicare i suoi componimenti, tra i quali vi proproniamo Voce di vedetta morta, apparso il 1 gennaio 1917 su La Riviera Ligure.Voce di vedetta morta di Clemente Rebora (1885-1957)

C'è un corpo in poltiglia
Con crespe di faccia, affiorante
Sul lezzo dell'aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
Affar di chi può, e del fango.
Però se ritorni
Tu uomo, di guerra
A chi ignora non dire;
Non dire la cosa, ove l'uomo
E la vita s'intendono ancora.
Ma afferra la donna
Una notte, dopo un gorgo di baci,
Se tornare potrai;
Sóffiale che nulla del mondo
Redimerà ciò ch'è perso
Di noi, i putrefatti di qui;
Stringile il cuore a strozzarla:
E se t'ama lo capirai nella vita
Più tardi o giammai.

1917


Questo è il quarto articolo della rubrica che propone ogni mese una poesia e un poeta da scoprire. Ti è piaciuto? Iscriviti alla newsletter, non perderti il prossimo!