Giunti Editore

— Parola all'editore

La poesia del mese. Luglio 2020

La poesia del mese. Luglio 2020

Cos’è la poesia che non salva
i popoli né le persone?
Una complicità di menzogne ufficiali,
una cantilena di ubriachi, a cui fra un attimo verrà tagliata la gola,
una lettura per signorinette.

Che volevo una buona poesia, senza esserne capace,
che ho capito, tardi, il suo fine salvifico,
questo, e solo questo, è la salvezza.

Czesław Miłosz, Prefazione, 1945

Per il consueto appuntamento che chiude ogni mese nel Salotto Bompiani oggi vi proponiamo un assaggio da Poesie di Eihei Dōgen, che del maestro Zen morto nel 1253 presenta la traduzione dell’intera raccolta di poesie waka in giapponese, dal titolo di Sanshōdōei comprendente sessanta poesie, più quindici poesie in cinese, dette kanshi, raccolte sotto il titolo di Sankyo. Oggi il maestro Dōgen è considerato tra i maggiori pensatori del Giappone per la sua profondità di pensiero sia in ambito buddhista sia per le sue intuizioni che spesso vanno al di là dell’ambito strettamente religioso. Ha esercitato un’enorme influenza sulla cultura giapponese ed è il capostipite di una delle maggiori scuole Zen attualmente presenti in Giappone, la Sōtō. È famoso per i suoi testi dottrinali, soprattutto lo Shōbogenzō, oggi annoverati tra i trattati di Buddhismo più studiati e apprezzati. Diversamente da questi, le poesie presentano l’aspetto più intimo del Maestro, in cui si scorgono le esitazioni, le difficoltà, ma anche la determinazione di seguire l’ardua via che porta all’illuminazione. Trattano della concreta esperienza di un grande uomo e mettono a nudo ciò che nei testi dottrinali non si trova, cioè l’esperienza del percorso della Via secondo una scansione cronologica che ci permette di seguire il percorso spirituale del Maestro fino all’ultima poesia scritta poco prima della morte.

59.

A che paragonare questa vita?
Al riflesso della luna
sulle gocce di rugiada
che l'uccello acquatico
solleva scuotendo il becco.

Riportiamo anche il commento del curatore, Aldo Tollini:

Anche questa poesia ha per tema l'impermanenza, soggetto ricorrente in tutta l'opera del Maestro. Di fatto, in queste poesie scritte durante i suoi ultimi giorni, Dōgen sente avvicinarsi la fine della vita e più acutamente percepisce il tema appunto dell'impermanenza. La parte iniziale, “A che paragonare questa vita?” (Yo no naka wa / nan ni tatohen), ricorre con una certa frequenza nella poesia giapponese. In particolare ci rimanda a una famosa poesia di Sami no Manzei, presente nell'antologia del Man'yōshū (750 d.C.):


A che paragonare questa vita?
Alla scia che man mano scompare
lasciata da una barca
che avanza remando
la mattina presto.

La risposta di Dōgen è piuttosto curiosa, e anche più elaborata: l'immagine è quella di un uccello acquatico che scuote il becco da cui si levano gocce di rugiada che si erano depositate smuovendo le foglie e i fiori carichi di umidità e su cui si riflette l'immagine della luna. Si percepisce una sorta di impermanenza dell'impermanenza, un'evanescenza al massimo grado. Si ricordi però che per Dōgen l'impermanenza è l'essere “così com'è” della realtà, è la natura-di-Buddha, quindi l'illuminazione stessa. Nulla si dà fuori dell'impermanenza, che del resto è uno dei fondamenti della dottrina insegnata dal Buddha storico chiamata anicca. Solo riconoscendo che la realtà in ogni suo aspetto è impermanenza e accettando questo stato di cose si può giungere alla saggezza.


Questo è il sesto articolo della rubrica che propone ogni mese una poesia e un poeta da scoprire. Ti è piaciuto? Iscriviti alla newsletter, non perderti il prossimo!