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L'avventuroso decollo di Comma 22

L'avventuroso decollo di Comma 22

Il testo di Joseph Heller che segue è stato originariamente pubblicato in The Sixties, curato da Lynda Rosen Obst (New York, London House / Rolling Stone Press,) nel 1977. Fa da introduzione alla nostra edizione di Comma 22, tradotta da Sergio Claudio Perroni, per la collana dei Classici Contemporanei.

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L’idea del libro mi venne come un attacco improvviso, un singolo momento di ispirazione. Ero già arrivato alla conclusione che volevo scrivere un romanzo, e tornare a New York dopo due anni di insegnamento in un college della Pennsylvania aveva rimesso in moto quell’ambizione. In ogni caso non sapevo quale sarebbe stato il tema. Poi una notte mi venne in mente la frase di apertura di Comma 22 – ogni parola, tranne il nome del personaggio, Yossarian – “Fu amore a prima vista. La prima volta che vide il cappellano s’innamorò follemente di lui.” La mia mente era inondata da immagini verbali. Mi alzai nel cuore della notte e mi misi a camminare pensando soltanto a quello. Il giorno dopo tornai nella piccola agenzia pubblicitaria dove lavoravo, scrissi a mano il primo capitolo, lo ritoccai per una settimana e alla fine lo mandai alla mia agente. Ci volle più di un anno per ideare il libro e sette per scriverlo, ma rimasi fedele all’ispirazione di quella notte.

Non so da dove arrivò. So che fu una combinazione consapevole di vari fattori, ma c’era anche una componente inconscia molto forte. Quasi subito inventai l’espressione “Comma 18”, che più tardi, quando scoprimmo che il romanzo Mila 18 di Leon Uris sarebbe uscito grosso modo nello stesso periodo del mio, fu cambiata in “Comma 22”. Inizialmente, Comma 22 istigava ogni addetto alla censura a mettere il proprio nome su ogni lettera incontrata. Poi, andando avanti, creai deliberatamente situazioni contraddittorie ed elaborai degli stratagemmi narrativi. Iniziai ad allargare l’applicazione del Comma 22 per abbracciare porzioni sempre più ampie del sistema sociale. Comma 22 divenne una legge: “loro” possono farci qualsiasi cosa che noi non siamo in grado di impedire “loro” di fare. L’ultimo riferimento è filosofico: Yossarian è convinto che non ci sia nessun Comma 22, ma non importa fino a quando la gente crederà che ci sia. Di fatto nessuno dei punti di vista presenti nel libro – il sospetto e la sfiducia nei confronti degli ufficiali del governo, il senso di impotenza e persecuzione, la consapevolezza che la maggior parte delle agenzie governative è pronta a mentire – coincideva con le mie esperienze come bombardiere durante la seconda guerra mondiale. I sentimenti antimilitaristi e antigovernativi del libro appartengono al periodo successivo alla seconda guerra mondiale: il periodo della guerra di Corea e della guerra fredda negli anni cinquanta. Tutte le certezze e le convinzioni si stavano sgretolando e questo influenzò Comma 22, rendendo la forma stessa del romanzo frammentaria. Comma 22 era un collage; se non nella struttura, nell’ideologia del romanzo stesso.

Senza esserne consapevole, facevo parte di un movimento letterario affine. Mentre lavoravo a Comma 22, J.P. Donleavy stava scrivendo Ginger Man, Jack Kerouac Sulla strada, Ken Kesey Qualcuno volò sul nido del cuculo, Thomas Pynchon V., e Kurt Vonnegut Ghiaccio-nove. Credo che nessuno di noi nemmeno conoscesse qualcuno degli altri. Io di sicuro non li conoscevo. Qualsiasi fosse la forza che stava plasmando quella tendenza artistica, non stava influenzando soltanto me, ma noi tutti. Il senso di impotenza e persecuzione di Comma 22 si trovano altrettanto forti in V. di Pynchon e in Ghiaccio-nove.

Comma 22 era più politico che psicologico. Nel romanzo l’opposizione alla guerra contro Hitler era data per scontata. Il libro affrontava invece i conflitti esistenti tra un uomo e i suoi superiori, tra di lui e le sue istituzioni. La lotta più dura è quando uno non sa chi è che lo sta minacciando e lo sta sfinendo – ma sa comunque che c’è una tensione, un antagonista, un conflitto di cui non è possibile immaginare la fine. Comma 22 si impose all’attenzione degli studenti universitari più o meno nello stesso periodo in cui la corruzione morale della guerra in Vietnam si fece evidente. La descrizione della corruzione, dell’idiozia e della risibilità del mondo militare poteva essere applicata alla lettera a quella guerra. Il Vietnam fu una fortunata coincidenza – fortunata per me, non per la gente. Tra la metà e la fine degli anni sessanta, l’edizione tascabile di Comma 22 passò più o meno da dodici a trenta ristampe. Era avvenuto un cambiamento nello stato d’animo, si era fatta largo un’ondata di salutare irriverenza. Si diffuse sempre più l’idea che i luoghi comuni dell’americanismo fossero solo un mucchio di stronzate. In primo luogo, non funzionavano. Secondo, non erano veri. Terzo, neanche coloro che li professavano ci credevano davvero. L’espressione “Comma 22” iniziò a comparire sempre più spesso e nei contesti più svariati. Cominciai a sentire di persone che credevano che il titolo del libro fosse venuto da quell’espressione e non viceversa. In un modo o nell’altro, ogni personaggio nel romanzo è in balia di qualche contesto. Alterno situazioni in cui l’individuo è in con-litto con la società a situazioni in cui la società stessa è il prodotto di qualcosa di oscuro, qualcosa che non possiede forma, o ne possiede una che sfugge ai limiti della ragione.

C’è un dialogo all’inizio del libro tra il tenente Dunbar e Yossarian. Stanno discutendo del cappellano e Yossarian dice “Forse a lui dovrebbero dare tre voti.” Dunbar risponde, “Dovrebbero chi?” e tre pagine dopo, Yossarian dice a Clevinger “Stanno cercando di uccidermi” e Clevinger vuole sapere “Chi sono? Chi, in particolare, pensi che stia cercando di ucciderti?” Sono quegli anonimi “loro”, quegli enigmatici “loro”, i responsabili. Chi sono “loro”? Non lo so. Nessuno lo sa. Neanche “loro” stessi.

Joseph Heller