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— Parola al traduttore

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Sara Cavarero

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Sara Cavarero

"Dire quasi la stessa cosa" è una serie di interviste ai nostri traduttori, per conoscere meglio questa splendida professione. Abbiamo parlato con Sara Cavarero: itañola di nascita, figlia di madre spagnola e padre italiano, dopo aver fatto i mestieri più svariati, alla fine è approdata alla traduzione letteraria. Per Bompiani ha tradotto Cicatrice di Sara Mesa e Una vita più vera di Inés Garland.

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Quando ha deciso che voleva diventare un traduttore?

Non l’ho deciso da ragazzina, com’è capitato ad alcuni colleghi, anzi direi che non l’ho proprio deciso. È stato un modo, un bisogno direi quasi, di conciliare due parti di me, di trovare un territorio in cui fare affondare le radici che ho sempre sentito un po’ sparpagliate, divise tra l’Italia e la Spagna. La traduzione mi ha aiutata a conciliare questi due mondi. Quando ho capito che quella poteva essere la strada per farlo, allora mi sono avvicinata alla traduzione.

Qual è stato il primo libro che ha tradotto?

Sette casi di sangue e una storia d’amore, della scrittrice catalana Teresa Solana. Una bellissima esperienza che mi ha anche portata a conoscere quella che nel tempo è diventata un’amica, l’autrice.

E il prossimo che vorrebbe tradurre?

Quello che arriverà… mi piacerebbe che fosse bella letteratura per potermi cimentare con passione nel mio lavoro.

Qual è secondo lei lo strumento più prezioso per un traduttore?

Secondo me gli strumenti più preziosi di un traduttore sono due: la curiosità e la conoscenza linguistica. La curiosità la ritengo una dote essenziale sia a livello lavorativo che in generale nella vita; è quel qualcosa che ti spinge a voler sapere, a voler scoprire e che, soddisfatta, ti permette di accumulare esperienze e conoscenze che sicuramente torneranno utili anche nel testo. Spesso penso che in questo lavoro non ci sia nulla da “buttar via”, ogni lettura, ogni esperienza tornerà utile un giorno davanti a un testo. E la conoscenza linguistica della lingua verso la quale si traduce, be’ quella è fondamentale. Saper respirare nella lingua di origine di un testo e riportare quel respiro con la stessa cadenza nella lingua d’arrivo.

Essere traduttore ha influito su di lei come lettore? In che modo?

Purtroppo sì. E dico purtroppo perché, sebbene la traduzione mi abbia insegnato a osservare e  a leggere il testo con una profondità che prima non conoscevo, al tempo stesso mi ha tolto la spensieratezza con cui affrontavo la lettura. Oggi è difficile che, leggendo un libro, riesca a perdermi completamente tra le sue pagine. Di solito tengo una matita vicina e inizio a sottolineare termini che potrebbero servirmi in futuro, rifletto sulla struttura della sintassi, sulla traduzione (se è un libro tradotto). Questo mi dispiace.

Che tipo di legame personale crea con gli autori che traduce?

Dipende. Con la maggior parte degli autori che ho tradotto ho avuto modo di creare effettivamente un legame e con alcuni si è instaurata una vera a propria amicizia. Con altri invece no, ma è più raro. Non mi piace disturbare l’autore se non è necessario, ma ho notato che molti di loro sono stati invece felici di incontrarmi e in alcuni casi mi hanno insegnato molto. Lo scambio è sempre costruttivo, poi ovviamente dipende da persona a persona.

E con gli editori per cui traduce?

Fortunatamente ho un buon rapporto con gli editori con cui ho lavorato e con cui lavoro. Con alcuni si tratta di rapporti di lavoro basati sul reciproco rispetto, con altri (soprattutto quelli con cui collaboro di più) si sono creati dei bei rapporti anche di amicizia.

Qual è il ricordo più bello della sua carriera?

Direi un ricordo piuttosto recente, risalente all’anno scorso. Sono stata invitata a Santiago de Compostela a parlare di una mia traduzione in una cornice davvero molto singolare, divertente e interessante. È stato molto bello sia per il contatto con i colleghi spagnoli, sia per quello con l’autrice sia per il modo in cui sono stata accolta e trattata. Per la prima volta ho avuto la sensazione di un riconoscimento del mio lavoro ed è stato gratificante.

Quale libro vorrebbe aver tradotto?

Sono tanti i libri che vorrei aver tradotto, ma sono stati tradotti molto prima che iniziassi questo lavoro da traduttori che stimo molto, per cui non posso che imparare dal loro lavoro. Spero un giorno di poter rispondere dicendo che il libro che vorrei aver tradotto è quello che effettivamente ho già tradotto. Chissà.

Pensa che il ruolo del traduttore viva la giusta considerazione nel mondo editoriale di oggi?

Penso che si siano fatti e si stiano facendo molti passi avanti e che ci sia una certa sensibilizzazione verso il nostro ruolo, anche se comunque c’è ancora parecchia strada da fare.

Che consigli darebbe a un giovane traduttore?

Di pensarci bene. Io amo molto il mio lavoro e quindi non me la sento di scoraggiare nessuno, ma di pensarci bene sì. Ci vogliono impegno, costanza, una certa dose di masochismo forse, tenacia e tanta passione.

Per Bompiani Sara Cavarero ha tradotto