O è un titolo molto presuntuoso, o è il solo titolo possibile. Primo amore ricorda Turgeniev, eppure chiamare amore, amori le forme di legame inevitabile che percorrono il romanzo di Gwendoline Riley è un bell’azzardo. Perché a tenere insieme i personaggi – Neve, così ostinatamente decisa a far funzionare cose nate rotte; il marito Edwyn, che odia tutti, per primo se stesso; una madre invadente; un padre purtroppo non dimenticabile – è tutto tranne che l’amore. Quando Neve sposa Edwyn è un giorno di sole accecante, ma lui porta lo stesso l’ombrello: un indice nero, una minaccia costante fermata dentro una foto. Quando parte per una residenza in Francia prova il sollievo dell’irreperibilità; come se sparire, annullarsi, essere ma non essere fosse l’unica via d’uscita da un mondo stretto e faticoso. È un libro così breve, e meno male: più lungo sarebbe insostenibile. È un libro feroce, cattivo della cattiveria ottusa degli altri che tutti sperimentiamo e cerchiamo di tenere a distanza. Eppure Neve resta, resta a dire con le sue immagini lancinanti che alla fine abbiamo quello che c’è, e prima di trasformarlo, o liberarcene, dobbiamo fare la fatica di capirlo.
(La copertina è quella del tascabile inglese – a casa sua il romanzo è pubblicato da Granta Books. Avevamo imboccato un’altra strada, forse più sofisticata, con un bel gioco di cuori-picche. Ma questo fiammifero che promette incendio ci è poi molto piaciuto.)