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— Parola all'autore

Loredana Lipperini racconta “L'ombra dello scorpione”

Loredana Lipperini racconta “L'ombra dello scorpione”

Abbiamo chiesto a Loredana Lipperini, grande esperta di letteratura del terrore e autrice lei stessa (Magia nera e La notte si avvicina, per restare in tema), di parlarci dell'Ombra dello scorpione di Stephen King in occasione dell'arrivo in streaming della serie tratta dal romanzo.


 

Ma guarda, Stephen King aveva previsto tutto nel 1978. Nei primi concitati mesi della pandemia in corso molti lettori si sono messi in caccia di testi dove si rintracciasse il soffio della profezia. Vecchia storia, perché ci piace pensare che la letteratura fantastica racconti il futuro: per meglio dire, ci piace pensarlo in determinati casi. Leggere nell’immediato dopoguerra The World Set Free dove Wells previde già nel 1914 l’invenzione della bomba atomica non rassicurava, così come molti di noi, con l’irredimibile fascinazione che la paura ci riserva anche in circostanze realmente terrorizzanti, hanno ripreso in mano L’ombra dello scorpione di King, quasi consolandoci per la devastazione di Captain Trips nei giorni della reclusione da coronavirus, o abbiamo creduto che davvero, nel 1981, Dean Koontz abbia previsto la pandemia in Abisso, dove il virus si chiamava Wuhan 400, oppure che Steven Soderbergh abbia avuto doti sovrannaturali nel girare il film Contagion nel 2011. Non funziona così, o dovrebbe essere un medium anche David Quammen con il suo saggio Spillover: semplicemente, scrittori e divulgatori conoscevano le possibilità che poi si sono sviluppate. È una vecchia storia, appunto. Carlo Fruttero (e altri con lui) ha ripetuto più volte che la fantascienza

non è profezia, ma una proiezione appassionata dell’oggi su di un avvenire mitico: e per questo aspetto partecipa della letteratura e della poesia.

Nel 1978, con ogni probabilità, King non pensava affatto a una pandemia reale ma a certi esperimenti militari che sarebbero tornati due anni dopo nell'Incendiaria e sette anni dopo nella Nebbia (nella raccolta Scheletri): compiuti con imprudente arroganza, nell’immaginazione scatenano forze che nessuno sarebbe stato in grado di controllare, mettendo a forte rischio la sopravvivenza dell’umanità (la vecchia questione del limite da non superare che è il fondamento stesso della letteratura fantastica da Frankenstein in poi). Quando Captain Trips si diffonde nel mondo, distruggendo la maggior parte dell’umanità, sono due cose a interessare King: il modo in cui i sopravvissuti si riorganizzano e, soprattutto, lo scontro fra bene e male. È qui che nasce uno dei suoi villain più interessanti: Randall Flagg, l’uomo nero, lo stregone, il figlio di demone, l’attraversatore di strade. Come disse King stesso, “Randall Flagg rappresenta il vero male, quello che io negli ultimi vent'anni - o anche prima sino a Hitler - ho identificato come il vero male.” Flagg tornerà nell’Occhio del drago e soprattutto nella saga della Torre nera: ma qui ha un’oppositrice improbabile e tenace, l’ultracentenaria Mother Abagail. In mezzo, i loro seguaci, che per il solo fatto di essere schierati in campo da forze più potenti di loro, pagheranno prezzi altissimi. La maestria di King sta qui. Ognuno dei ricostruttori, sia che dimorino nella virtuosa cittadina di Boulder sia che raggiungano Flagg a Las Vegas, ha la possibilità di fare una scelta. L’avrà persino lo sventurato Harold Lauder, gonfio di umiliazioni al punto di diventare facilmente strumento di morte; l’avrà Nadine, l’infelice sposa promessa a Flagg (ma da chi? La sua domanda resta senza risposta), così come l’avranno i cavalieri del bene, Stu, Larry, Nick e tutti gli altri. Ma è difficile fare la scelta giusta, così come è difficilissimo ricostruire un mondo azzerato senza ricadere negli stessi errori, e senza rimettere in discussione il sistema di prima, che ha portato alla catastrofe senza che nessuno se ne accorgesse. Lo dice King in Danse Macabre, quando racconta dell’eccitazione che provava scrivendo il romanzo con la sensazione di ballare “un travolgente tip tap sulla tomba del mondo intero”. Erano momenti inquieti per il mondo reale, peraltro: scarsità di benzina, dimissioni di Nixon, inflazione.

Mi sentivo un po’ come Alessandro che leva la sua spada sopra il nodo gordiano e grugnisce: ‘Scioglierlo? Che vada a farsi fottere... ho un modo migliore, io.’ In questa prospettiva, la distruzione del mondo così com’è divenne un vero sollievo. Basta con Ronald McDonald! Basta con Gong Show o soap-opera alla televisione: solo tanto riposante effetto neve sui nostri schermi! Basta con i terroristi!

Non era così, naturalmente. Sciolto il nodo, restavano i pezzi della corda: le armi, le testate nucleari che un Flagg venuto dalle tenebre avrebbe potuto usare. Appresa la lezione, resta la luce che brilla in quell’oscurità con la capacità degli uomini e delle donne di incontrarsi, amarsi, continuare a vivere:

Nonostante il tema apocalittico, L’ombra dello scorpione è in gran parte un libro di speranza, in cui risuona la massima di Albert Camus che “anche la felicità è inevitabile”.

E anche in questo caso, come in tutti i libri di King, la sorte dell’umanità è identica: come scriverà in 22/11/63, “un universo di orrore e smarrimento circonda un palcoscenico illuminato, sul quale noi mortali danziamo per sfidare le tenebre.”

Loredana Lipperini, gennaio 2021

Stephen King

Loredana Lipperini