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— Parola al traduttore

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Piernicola D'Ortona e Maristella Notaristefano

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Piernicola D'Ortona e Maristella Notaristefano

"Dire quasi la stessa cosa" è una serie di interviste ai nostri traduttori, per conoscere meglio questa splendida professione. Abbiamo parlato con Piernicola D'Ortona e Maristella Notaristefano, che per noi hanno tradotto a quattro mani i romanzi di Steven Price L'uomo di fumo e Casa Lampedusa.

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Quando avete deciso che volevate diventare traduttori?

[Piernicola] Ammesso che di decisione si possa parlare, l’ho deciso piuttosto tardi, dopo aver lavorato per qualche tempo nel mondo dell’editoria in ruoli diversi (soprattutto nel campo della correzione di bozze e dell’editing). La molla è scattata definitivamente quando ho frequentato la Scuola per traduttori editoriali che Paola Mazzarelli coordina a Torino; lì ho capito, in parte ispirandomi alla grinta e alla passione – mai ingenue – che ci trasmettevano gli insegnanti, che tradurre mi sarebbe piaciuto, anzitutto perché era una via privilegiata per accedere al testo, una via che pochissimi altri lavori mi avrebbero aperto.

[Maristella] Alla traduzione editoriale ambivo sin dal primo giorno in cui ho messo piede alla Scuola per interpreti e traduttori di Trieste. Ma anch’io ci sono arrivata piuttosto tardi: lavoravo da qualche anno come traduttrice freelance, in ambito latamente tecnico, quando ho seguito un seminario di due giorni tenuto da Paola Mazzarelli alla Casa delle Traduzioni di Roma e ho capito che avevo bisogno di continuare a formarmi, e che da Paola avrei imparato moltissimo. Volevo ampliare la mia visione del testo e della traduzione, ma soprattutto “stare a bottega”, mettermi alla prova. E così mi sono trasferita a Torino per frequentare la Scuola: è stata un’esperienza bellissima e decisiva.

Qual è stato il primo libro che ha tradotto, insieme o singolarmente?

Abbiamo vissuto insieme un’esperienza rara e molto intensa, cioè quella di tradurre a quattro mani un libro di oltre mille cartelle sulla vita di Charles Darwin, un’opera di riferimento per gli storici della scienza, firmata da Janet Browne (uscita nel 2018 per Hoepli). Il lavoro è durato più di un anno, era diventato una specie di seconda pelle e ci ha rafforzato come coppia. Era il primo libro che traducevamo insieme e poteva rivelarsi anche un buco nell’acqua; invece è andata bene fin da subito, al netto delle difficoltà del testo. In più, abbiamo avuto una revisora di primissimo ordine: Paola Mazzarelli, che ha firmato con noi la traduzione.

E il prossimo che vorreste tradurre?

Le biografie ci divertono molto: inglesi e americani sono bravissimi a raccontare in modo appassionante la vita di personaggi famosi, conservando però un ottimo livello di rigore storico-documentario. Chissà, forse sarebbe bello tradurre la biografia di una donna…

Qual è secondo voi lo strumento più prezioso per un traduttore?

Lo strumento principale è senz’altro il dizionario, banalmente. Anzi, sarebbe meglio parlare di dizionari, al plurale: più se ne guardano meglio è (monolingue, bilingue, della lingua italiana, illustrati, analogici, aggiornati, ottocenteschi ecc. ecc.) Ma forse, anche per saper consultare un dizionario, bisogna sentire il pungolo di un sentimento che non deve spegnersi mai: la curiosità. La stessa curiosità che spinge a crearsi una bibliografia di letture complementari, che sono un altro strumento utile: per studiare l’argomento, capire come se ne scrive, assorbire la terminologia, quando si traduce saggistica; per immergersi nelle atmosfere, quando si traduce narrativa. Sempre preziosa poi è la capacità di porsi domande, scavare nel testo instancabilmente e limare la resa, anche all’ennesima rilettura.

Come nasce e come funziona una traduzione a quattro mani? In cosa è più difficile e in cosa si rivela un vantaggio?

Abbiamo cominciato a tradurre insieme sia per una questione di mole (si vedano le mille e più cartelle di cui parlavamo prima) sia perché condividevamo un metodo e una certa idea di traduzione. Tradurre a quattro mani è molto divertente, se fatto con una persona che conosci bene e che stimi: le tensioni si stemperano, ci si sente un po’ meno soli e ci si rilegge a vicenda, imparando molto. Spesso le soluzioni migliori ci vengono leggendo insieme ad alta voce, a volte è soprattutto una questione di orecchio. L’ostacolo maggiore è trovare una voce comune, cosa che rallenta le fasi iniziali; ma una volta trovata quella voce, si procede abbastanza spediti.

Essere traduttori ha influito su di voi come lettori? In che modo?

Moltissimo, si notano aspetti del testo che prima si trascuravano, si è in un certo senso più esigenti.

Che tipo di legame crea con gli autori che traducete?

Non è sempre possibile creare un legame con gli autori: spesso bisogna passare per gli agenti e i tempi si allungano molto. Quando ci siamo riusciti, finora si sono sempre mostrati disponibili, ringraziandoci se notavamo un’imperfezione che a loro era sfuggita.

E con gli editori per cui traducete?

Dipende molto dall’editore e dai tempi, che a volte sono strettissimi. Di solito con gli editori medio-piccoli è più facile costruire un rapporto personale, avere scambi più frequenti ed eventualmente discutere su certe scelte. Poi capita di confrontarsi con i revisori, che per certi lavori hanno un ruolo fondamentale.

Qual è il ricordo più bello della vostra carriera?

È sempre bello quando vieni a sapere che una persona ha letto un libro tradotto da te: magari quella persona non se n’è neanche accorta, come spesso succede, ma se dalla lettura ha tratto piacere, se ha imparato qualcosa, se si è divertita, allora capisci di aver prestato un buon servizio al testo e all’autore.

Quale libro vorreste aver tradotto?

[Piernicola] Per scaramanzia non si dovrebbe dire, ma il mio sogno sarebbe di tradurre un bel classico dell’Ottocento, uno di quelli che si leggono da ragazzi e che ti formano come lettore.

[Maristella] L’affinità traduttiva si manifesta anche negli stessi gusti! Anche a me un giorno piacerebbe tradurre un bel romanzo o un bel libro di viaggio dell’Ottocento.

Pensate che il ruolo del traduttore viva la giusta considerazione nel mondo editoriale di oggi?

Senz’altro si sono in parte accesi i riflettori: di traduzione si parla di più, dei traduttori si sente la voce, se ne leggono le opinioni e le fatiche. Ma c’è ancora molto lavoro da fare per quanto riguarda il trattamento economico, un aspetto su cui siamo indietro rispetto ad altri paesi.

Che consigli darebbe a un giovane traduttore?

Di armarsi di pazienza e curiosità, di leggere tantissimo. Di non stancarsi mai.