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— Parola al traduttore

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Milena Sanfilippo

Dire quasi la stessa cosa. Intervista a Milena Sanfilippo

"Dire quasi la stessa cosa" è una serie di interviste ai nostri traduttori, per conoscere meglio questa splendida professione. Abbiamo parlato con Milena Sanfilippo, traduttrice dall'inglese. Per Bompiani ha firmato la versione italiana di Come il paradiso, come la morte di Matthew Neill Null.

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Quando ha deciso che voleva diventare un traduttore?

Non saprei indicare un momento preciso. Dopo la laurea in Lingue e letterature straniere ho lavorato alla traduzione di documenti tecnici nell’ambito di un progetto europeo. Da lì ho capito che mi sarebbe piaciuto affrontare traduzioni meno “sterili”, scegliendo poi d’inoltrarmi nel mondo della traduzione letteraria. Ma già da adolescente, in mancanza di versioni soddisfacenti e forse complici gli studi classici, traducevo da sola testi di canzoni e poesie. Quindi, chissà, magari l’inclinazione è sempre stata lì.

Qual è stato il primo libro che ha tradotto?

Un volume di auto-aiuto in cui un maestro buddista spiega come affrontare diverse forme di sofferenza emotiva.

E il prossimo che vorrebbe tradurre?

Sono ancora ai primi anni di esperienza, quindi mi piacerebbe che andassero in porto alcune delle mie proposte di traduzione su autori che scovo, alla ricerca di nuove voci, e che poi propongo agli editori in base al loro catalogo.

Qual è secondo lei lo strumento più prezioso per un traduttore?

Se parliamo di caratteristiche personali, direi curiosità e umiltà: nessuno, specialmente alle prime armi, consegnerà mai una traduzione impeccabile, dunque bisogna saper ascoltare i revisori, gli editor e imparare dagli errori senza scoraggiarsi e senza mostrarsi ottusi. Una conoscenza approfondita della propria lingua madre, non smettere mai di leggere in italiano e di esplorarne le infinite sfaccettature. Inoltre, come dice Franca Cavagnoli, è necessario ascoltare “la voce del testo”, prestarvi orecchio, sapersi sintonizzare sulle frequenze di una specifica narrazione. Doti che naturalmente si affinano col tempo e con l’esperienza. Da un punto di vista pratico… Il fantastico mondo del web! Scherzi a parte, l’aiuto che ci viene dato dalla rete è innegabile: penso alla possibilità di verificare citazioni, fonti, togliersi dubbi in due clic. Infine, una valida scorta di dizionari sia cartacei che online (slang, sinonimi, collocazioni, ecc.)

Essere traduttore ha influito su di lei come lettore? In che modo?

A volte quando leggo libri tradotti dall’inglese o dal francese mi capita di chiedermi: “Chissà com’era questo giro di frase nel testo di partenza”; se invece leggo direttamente in originale, mi domando come tradurrei qui o lì e talvolta questo può minare l’esperienza di lettore neutrale. Mi capita anche di rimanere colpita di fronte alle soluzioni dei colleghi, soprattutto quando conosco le difficoltà del testo di partenza. In quel caso, la lettura diventa un modo per apprendere e approfondire ancora sul mestiere. Ci sono periodi in cui “m’impongo” di leggere soltanto romanzi e saggi di autori italiani o traduzioni da lingue che non conosco, sia per godere della semplice lettura, sia per scoprire altre sfumature linguistiche, lessicali, fraseologiche.

Che tipo di legame personale crea con gli autori che traduce?

Ho avuto uno splendido scambio di e-mail con il primo autore tradotto per Bompiani (Matthew Neill Null, di cui ho tradotto Come il paradiso, come la morte). In generale può essere utile contattare l’autore per chiedere chiarimenti e delucidazioni. Ma ancor prima di andare direttamente alla fonte, ritengo sia importante informarsi, leggere interviste, recensioni, articoli, saggi e così via. Non tutti sono di questa opinione: per alcuni è soltanto il testo a parlare, a dire già tutto quello che il traduttore dovrebbe sapere. Punti di vista.

E con gli editori per cui traduce?

Sarò sincera. Quando cominci a muovere i primi passi nel mondo della traduzione letteraria, corri il rischio d’incappare in esperienze negative (mi riferisco ai compensi e allo scarso valore riconosciuto al lavoro di un giovane). A me è capitato, ma poi, per fortuna, ho incontrato editori con cui si è instaurato un ottimo legame di fiducia e collaborazione proficua. Ripeto, non bisogna scoraggiarsi ed è fondamentale dimostrare serietà fin da subito.

Qual è il ricordo più bello della sua carriera?

Nel mio caso non si può ancora parlare di una carriera decennale. Di certo, il momento in cui una traduttrice di lunga esperienza, che considero un po’ la mia “mentore”, mi ha dimostrato fiducia proponendomi per una prova di traduzione importante.

Quale libro vorrebbe aver tradotto?

Domanda da un milione di bitcoin! Più che altro, mi piacerebbe conoscere almeno altre cinque o sei lingue (penso all’ungherese o al portoghese) per occuparmi di letterature che amo molto ma che, per ora, posso godermi solo in traduzione.

Pensa che il ruolo del traduttore viva la giusta considerazione nel mondo editoriale di oggi?

Ci sono case editrici molto attente alla figura del traduttore e altre decisamente meno. A mio parere il traduttore dovrebbe essere coinvolto anche nel lancio di un libro, ad esempio partecipando alle presentazioni. Nessuno conosce un romanzo meglio di chi ci ha vissuto dentro per mesi! Inoltre, bisognerebbe seguire l’esempio degli editori che costruiscono un rapporto duraturo con i traduttori, non limitandosi alla mera collaborazione occasionale.

Che consigli darebbe a un giovane traduttore?

Come dicevo, anche io faccio ancora parte del novero dei giovani. Da un punto di vista pratico, direi di seguire un buon corso di traduzione letteraria perché spesso la sola formazione universitaria non basta (troppa teoria, poca pratica). Partecipare a incontri, seminari e workshop per conoscere il mondo dell’editoria nel suo complesso. Infine, non perdersi d’animo né essere troppo choosy, imparare e assorbire il più possibile da chi ne sa di più. Leggere tanto, ampliare sempre i propri orizzonti di lettore. Ogni nuova scoperta potrà tornare utile in traduzione.