"Dire quasi la stessa cosa" è una serie di interviste ai nostri traduttori, per conoscere meglio questa splendida professione. Abbiamo parlato con Barbara Delfino, traduttrice dal polacco. Laureata in lingue e letterature straniere moderne, sezione di slavistica, all’Università di Torino, nel 2006 ha iniziato la sua professione di traduttrice editoriale. L’attività di traduzione e quella di scouting le hanno permesso di “portare” in Italia autrici polacche contemporanee e “riportare” dei classici russi; è direttrice di un premio letterario, il Premio Polski Kot, dedicato alla letteratura slava tradotta in Italia e inserito nella cornice del Festival Slavika che ha luogo tutti gli anni nel mese di marzo a Torino. Per Bompiani ha tradotto I vagabondi di Olga Tokarczuk.
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Quando ha deciso che voleva diventare un traduttore?
Ci sono stati tanti episodi fin da quando ero veramente molto piccola, che facevano presagire che avrei fatto questo lavoro (o comunque qualcosa legato alle lingue straniere). Mentre le mie amichette alla classica domanda “Cosa vuoi fare da grande?” erano indecise tra la ballerina e la veterinaria, io per tutto il periodo delle scuole elementari ho risposto “la poliglotta”, e qualche volta aggiungevo “come il Papa”. Scherzi a parte, è stato durante le ore di esercitazioni di lingua francese al liceo linguistico che ho pensato alla traduzione come ad una possibile professione, anche se ancora nessuno sapeva darmi indicazioni utili per intraprenderla!
Qual è stato il primo libro che ha tradotto?
La mia prima traduzione in assoluto, sulla quale mi sono scervellata non poco, è stata quella di una semplice frase: The cow is mine. Avevo sette anni e aiutandomi con un vocabolario avevo intenzione di tradurre un volume dell’enciclopedia dedicato allo studio della lingua inglese. Sono state ore, ore e ore a cercare di capire perché quella mucca era una “miniera”…
Il primo vero libro che ho tradotto per una vera casa editrice è stato un romanzo di una scrittrice polacca contemporanea, Katarzyna Grochola, Mai più in vita mia, pubblicato nel 2006. Nel luglio del 2006 in un lungo viaggio in auto fino a Minsk, decidiamo di fermarci un giorno a Varsavia. Riesco a trovare il tempo di passare un minuto in una libreria e combinazione compro un solo libro, proprio quello che sei mesi dopo un editore mi chiede se sono disponibile a tradurre. E questo è solo uno dei tanti aneddoti della mia simbiosi con i libri!
E il prossimo che vorrebbe tradurre?
Vorrei poter continuare a tradurre ancora tanta altra bella letteratura polacca. Al termine degli studi universitari mi sono imposta una vera e propria missione: far conoscere la letteratura polacca in Italia attraverso quante più traduzioni possibili. Ecco, mi sto impegnando molto per compierla al meglio.
Qual è secondo lei lo strumento più prezioso per un traduttore?
Innanzitutto la lingua italiana. Deve conoscerla bene e amarla tanto, deve provare un vero e proprio piacere nel tradurre nella propria lingua quanto detto e pensato da altri. E un altro fattore che secondo me incide moltissimo è il tempo. Tra i miei obiettivi professionali c’era quello, raggiunto dopo molti anni di sacrifici, di svolgere il lavoro di traduttrice a tempo pieno. In questa professione il concetto del tempo è completamente diverso: io mi occupo sia di traduzioni editoriali, sia di traduzioni tecniche, e mi rendo conto che quando mi organizzo per realizzare un nuovo progetto di traduzione, il tempo è molto dilatato. Le giornate lavorative possono arrivare a 15 ore, oppure ridursi a 2. È un’elasticità che la maggior parte delle altre professioni non concede, quindi il periodo in cui affiancavo alle traduzioni altri impegni lavorativi, per es. l’insegnamento, sono stati molto faticosi. Ora che traduco soltanto, lavoro il doppio del tempo ma con metà della fatica.
Essere traduttore ha influito su di lei come lettore? In che modo?
Ha influito moltissimo! Innanzitutto mi ha fatto diventare ancora più curiosa di quanto già non ero. Leggere e tradurre è un modo come un altro per scoprire il mondo. Inoltre ora non sono più io a scegliere i libri, sono loro a scegliere me… ci sono continui richiami di nuove traduzioni dei colleghi che mi rimbombano nelle orecchie.
Che tipo di legame personale crea con gli autori che traduce?
Amo molto la letteratura contemporanea e fortunatamente gli autori polacchi sono sempre ben disposti verso i loro traduttori stranieri. Cerco quindi con loro un contatto non invadente, ho piacere di avvertirli che sto lavorando su un loro romanzo. Con Olga Tokarczuk invece c’è un legame molto particolare: su di lei ho scritto la mia tesi di laurea quindici anni fa quando non era ancora così conosciuta come oggi, ma la sua prosa mi aveva già conquistato.
E con gli editori per cui traduce?
Con gli editori cerco sempre di essere molto disponibile. Si stupiscono spesso della mia velocità di risposta alle loro richieste, mentre a me sembra normale rispondere in tempi rapidi. Una volta consegnata la traduzione so benissimo che il mio lavoro non è finito lì, quindi resto disponibile e reperibile fino pubblicazione avvenuta e anche in seguito, nella fase di promozione.
Qual è il ricordo più bello della sua carriera?
Si tratta di un ricordo fresco fresco: la partecipazione alla finale dell’ultima edizioni del Premio Von Rezzori. Il premio non è stato assegnato alla scrittrice polacca tradotta da me, ma in ogni caso essere arrivati in finale è stata una grandissima soddisfazione. Inoltre è stata un’occasione per trascorrere qualche giorno con l’autrice (Olga Tokarczuk) e scambiare con lei quattro chiacchiere in merito alla sua scrittura e alla traduzione in genere.
Quale libro vorrebbe aver tradotto?
Non c’è un libro in particolare che vorrei aver tradotto o vorrei tradurre. Traducendo dal polacco, per me ogni libro tradotto da questa lingua costituisce un “mattoncino” utile a far conoscere questa letteratura ancora poco tradotta e quindi, purtroppo, ancora poco conosciuta. Per questo motivo, sono sempre molto felice anche quando è un altro collega a tradurre un autore o un’autrice polacca!
Pensa che il ruolo del traduttore viva la giusta considerazione nel mondo editoriale di oggi?
Generalmente i traduttori si lamentano della poca visibilità che hanno nel mondo editoriale di oggi. Sto notando però che negli ultimi tempi la figura del traduttore gode di una maggiore considerazione. Se gli editori facessero ancora un piccolo sforzo per coinvolgere maggiormente i traduttori anche dopo la consegna (e mi riferisco in particolar modo ai momenti di promozione), sono certa che troverebbero degli ottimi collaboratori.
Che consigli darebbe a un giovane traduttore?
A un giovane traduttore che intende intraprendere questa professione darei semplicemente due consigli: di non illudersi perché non è facile; di non arrendersi perché non è impossibile.