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— Parola all'autore

Ora dicci di te. Conversazione con Andrea Camilleri

Ora dicci di te. Conversazione con Andrea Camilleri

In Ora dimmi di te Andrea Camilleri scrive alla pronipotina una lettera: con humour e limpidezza, ripercorreva la storia italiana del Novecento attraverso la propria di uomo, innamorato della vita e dei suoi personaggi. Ogni episodio è un modo per parlare di ciò che rende l'esistenza degna di essere vissuta: le radici, l'amore, gli amici, la politica, la letteratura. Con il coraggio di raccontare gli errori e le disillusioni, con la commozione di un bisnonno che può solo immaginare il futuro e consegnare - a Matilda e a noi - la lanterna preziosa del dubbio.


Cara Matilda, io spero di averti detto tutto ciò d’importante che c’era da dire su di me. Ho voluto raccontarti io come sono stato, piuttosto che fartelo dire da altri. E ora che ho finito, dimmi di te. Io sono qui. E ti ascolto.

CONFESSIONE PER UNA PRONIPOTINA

Io so benissimo che non potrò parlare con lei del suo primo tema, o altro. E quindi ho sentito questo bisogno, che è nato proprio come un bisogno. Io non ho scritto questa lettera per insegnarle, indicarle, ma per dirle come sono stato io in rapporto ad alcuni eventi piuttosto grossi, come ho reagito. Poi, se lei imparerà a reagire allo stesso modo o no, non lo so. Non so se mi spiego: è più una confessione, un dire come sono stato, che non un insegnare qualcosa a qualcuno. Ecco, tutto qua. Ho proprio sentito il bisogno di quell’intimità che non avrò mai. Sono sempre stato curioso dei ragazzi, di come la pensano, sempre. Quando insegnavo all’Accademia o al Centro Sperimentale io avevo davanti a me degli allievi che avevo scelto io (un massimo di tre, tanti erano i posti: tre). Quindi erano dei ragazzi preparati e intelligenti – difficilmente mi sbagliavo. Confrontavo il mio Amleto con il loro. C’erano un po’ di anni di differenza di età: il loro modo giovane di leggere Amleto non era lo stesso mio. Ma le loro idee erano come sangue vivo per me, mi sentivo Dracula la mattina quando andavo a fare lezione. Andavo la mattina a impregnarmi delle loro idee, discuterne e magari, come disse Orazio, non condividerle. Però conoscerle era già tanto importante.

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L’UNIVERSITÀ

Io avevo un sogno: andare all’università a Firenze. Perché? I maestri dell’università di Firenze scrivevano cose che io leggevo e che mi appassionavano. De Robertis, Rodolfo Morandi, erano tutti grandi maestri. Quelli all’università di Palermo non lo erano per niente. Quindi m’ero fatto tutto un piano con l’aiuto di uno zio potente e fascista, che stava a Roma. Allora, grazie a questo zio, attraverso Fernando Mezzasoma, sottosegretario al MinCulPop (che poi morì malamente, poveraccio, fucilato a Salò), io, appena finivo il liceo, nel ’43, mi sarei dovuto trasferire a Firenze dove avevo già pronto il posto di apprendista giornalista pagato alla Nazione in modo da potermi mantenere agli studi per l’università. Invece arrivarono gli Americani. Il 10 luglio del 1943 io avevo finito il liceo da un mese, da due mesi, e tàcchete, sbarco americano: restammo tagliati fuori e quindi io fui costretto ad andare a malincuore all’università di Palermo.

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LA CASA EDITRICE DI VALENTINO BOMPIANI

A parte il fatto che pubblicava autori americani come Steinbeck, Caldwell, ogni tanto tirava fuori dei romanzi di autori poco conosciuti bellissimi. Mi ricordo Le ruote girano di Stuart Cloete oppure I proscritti di Frederic Prokosch. Erano libri bellissimi. E poi soprattutto aveva pubblicato Conversazione in Sicilia di Vittorini, che era un fatto importante. Poi pubblicava anche la rivista niente male che si chiamava Pesci rossi, dal titolo credo del libro di Emilio Cecchi, dove pubblicarono la mia terza poesia. Le prime due poesie mie furono pubblicate dalla rivista Mercurio che dirigeva Alba de Céspedes. La terza poesia venne pubblicata proprio su Pesci rossi dalla Bompiani. Si chiamava Un uomo che spacca le pietre. Le diederono una gran bella evidenza, con un disegno. Era importante. Valentino Bompiani non l’ho mai conosciuto, però l’ho letto. Oltre che come editore aveva scritto una commedia che non era per niente male, si chiamava Anche i grassi hanno l’onore che aveva pubblicato nella rivista teatrale che allora pubblicava lui, che si chiamava Sipario ed era molto bella. Presentava testi teatrali e articoli molto belli, molto seri. Poi l’ultima cosa: ho pubblicato un libro Un onorevole siciliano con Bompiani, che sono le interrogazioni parlamentari di Leonardo Sciascia.

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LA PASSIONE PER IL TEATRO

Arrivo al termine della mia vita con un sogno: non è mettere in scena l’Amleto di Shakespeare, ma mettere in scena La vedova allegra. Spettacoli ne arrivavano pochissimi al mio paese. Mi ricordo di aver visto Angelo Musco da bambino proprio bambino, perché poi poco dopo morì, e altri attori d’allora e allora importanti, come Annibale Ninchi. Venivano, e venivano a fare in genere dei classici. Questi venivano. Per tre volte di seguito vidi Campo di Marte. Era una commedia. C’era il carro di Tespi. C’era il Fascismo e aveva fatto il carro di Tespi: un teatro ambulante, bello anche, quand’era montato. E in genere rappresentavano così: io ho visto tre volte una commedia a firma di due attori, uno era Giovacchino Forzano e l’altro era Benito Mussolini. Credo che la passione per il teatro sia nata naturalmente, cioè: a cinque anni già le solite cose, il teatrino… Facevamo con mio cugino Alfredo le recite a pagamento a tutta la numerosa parentela, ma eravamo già ragazzi di dieci anni. Quindi ho sempre fatto teatro. Con la Filodrammatica, poi con i teatri GUF addirittura. I teatri GUF erano i teatri universitari che ogni capoluogo di provincia aveva. E io benché non fossi universitario ma ancora liceale facevo delle regie, lì. Mi ricordo che ho fatto la regia delle Montagne di Romualdi che vinse il secondo premio a Firenze come messa in scena. Primo arrivò un giovane regista di Trieste che si chiamava Strehler.

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LE LETTERE D’AMORE

Ma anche se avessi avuto la vista una lettera avrei scritto, perché, che vuoi?, l’età mia è quella dell’epistolario. Riesci a dire rotondamente quello che vuoi dire, in una lettera. Qui, col numero di parole prefissato e casomai in sostituzione il disegnino “sono contento”, è un po’ demenziale. [Hai scritto molte lettere nella tua vita?] Pochissime. Pochissime. Pochissime e solo per stretta necessità. Non esisteranno lettere mie da pubblicare post mortem per fortuna. Per fortuna. Non m’andava. Una volta da un castello del nord, dove facevano mostre, mi dissero che volevano fare un’esposizione di lettere d’amore. “Ce ne manda una sua?” Risposi dicendo: “Scusate, ma se io ho scritto una lettera d’amore, non ce l’ho più, l’ho spedita, ce l’ha la persona alla quale è stata spedita. Io non ho lettere d’amore, nessuna lettera d’amore delle due o tre che possa avere scritto in vita mia m’è tornata indietro. Quindi come faccio a darvela?” A meno che uno non scriva a futura memoria e faccia una copia della lettera d’amore che invia. Dio, che brutta cosa ragioneristica!

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LE PAGELLE DELL’ALLIEVO

Io non so perché, ma sono stato veramente un pessimo studente. Dico “non so perché” perché certe volte mi piaceva studiare, però cert’altre volte avevo un rigetto totale, totale proprio. Oppure c’erano materie che assolutamente non capivo. La matematica per esempio. Quando siamo arrivati all’algebra per me era una cosa… una materia lunare, tanto che la professoressa di matematica dopo avermi torchiato per un mese di seguito arrivò a questa conclusione. Disse: “Senti, ho capito che tu proprio non ce la fai, proprio per natura. Va a sapere perché, ma non ce la fai. E quindi io non ti interrogherò mai più. Però sappi che io ti do la promozione solo se sei promosso in tutte le altre materie. Se per caso vieni rimandato in una materio io aggiungo la matematica e sei fregato.” Quindi sono stato un cattivo studente sempre promosso, però. Capite? Riuscivo a fare tutto quello che mi passava per la testa e mi sono sorpreso quando anni fa, cinque o sei anni fa, mi hanno invitato al mio ginnasio-liceo, dove ho fatto tutto il ginnasio e tutto il liceo, e hanno stampato tutte le mie pagelle. C’era da vergognarsi perché io fino al secondo trimestre prendevo 4, 2, e riprendevo in mano la situazione al terzo trimestre. Una sola volta sono stato rimandato a ottobre: in educazione fisica! E allora mi precipitai dalla professoressa di matematica a dire: “Ma guardi…!” E lei disse: “Tranquillo, non la considero una materia.” E non aggiunse la matematica. Però attenzione, ché sono stato forse un buon professore delle materie che insegnavo, però non sono mai stato attento alla disciplina, a certi fatti formali dell’insegnamento. Io ho sempre, come posso dire, costituito, fatto, tramutato il rapporto tra maestro e allievo, l’ho portato a un rapporto più paterno che altro. Quindi ’sti ragazzi a un certo punto imparavano più per affetto, per voglia di farmi un piacere che non perché era la regola scolastica. Insomma, tra me e gli allievi c’è sempre stata non la distanza che c’è tra il docente e l’allievo, mai, c’è stato sempre come un rapporto filiale che metteva il mio insegnamento, se così si può dire, sotto una luce diversa.

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SARTRE ALLA STAZIONE DI NAPOLI

Cominciavano ad arrivare le riviste, i giornali francesi, Les Nouvelles littéraires, queste cose, libri, che noi non conoscevamo perché la censura non ce le aveva fate arrivare. Una gran voglia di leggere le commedie, di vedere i film americani, francesi, inglesi. E la voglia stessa di conoscerci! Questo fatto, devo dire, si svolge nel 1946. Allora, si fa in Sicilia un Congresso del Partito liberale importantissimo perché raduna le forze liberali (e allora c’era gente piuttosto importante). E venne anche questo mio zio che era della direzione del Partito liberale insieme a Manlio Brosio allora vicepresidente del Consiglio, un liberale repubblicano, che poi sarebbe diventato il primo segretario della NATO. E allora questi due, mio zio e Brosio, arrivarono a Taormina dove si teneva questo congresso e dove ebbi il piacere di conoscere Vitaliano Brancati e passare qualche serata con lui. Arrivarono, dicevo, con la littorina, il treno che era stato di Mussolini, il treno presidenziale, che aveva delle cuccette letto, bellissimo. E mio zio Carmelo mi disse: “Perché, Andrea, non vieni per qualche giorno a Roma?” Perché no? E sono partito per Roma. Quindi quando passammo da Napoli io ancora dormivo. Non vidi la stazione. Sono stato a Roma e pochi giorni prima di partire sono caduto e mi sono fatto male a un ginocchio. Quindi camminavo col sostegno di un bastone. Finalmente viene il tempo di tornare in Sicilia. Io a Roma avevo letto un numero de Les Nouvelles littéraires dove c’era un articolo di Sartre interessantissimo. Nomi nuovi, eh! E però diceva: “Il seguito al prossimo numero” e allora io spero fino all’ultimo che arrivi questo prossimo numero, per comprarlo, sicuro che in Sicilia quel giornale non arrivi. E invece fino all’ultimo ’sto giornale non c’è. Salgo su questo treno dove nessuno s’alzava nel timore di perdere il posto, perché la gente viaggiava sopra la vettura. Io m’ero fatto raccomandare alla polizia da mio zio, per cui m’avevano tenuto il posto eccetera. Alla stazione di Napoli ’sto treno lunghissimo ferma ma nessuno scende per timore di perdere il posto. Io c’avevo una sorta di delinquente accanto a me – chiaramente delinquente – con cui avevo fatto amicizia. Dico: “Mi ten’ u’ puost?”, dice: “Sì, sì.” E io scesi. La banchina deserta, un po’ zoppo, comincio a correre verso gli edifici della stazione. Via via che mi avvicino correndo zoppo mi accorgo che l’edificio non c’è. Cioè edifici non c’erano, c’erano ruderi dell’altezza della parte di una stanza. E che la stazione non c’era. E mentre m’avvicinavo scorgo con chiarezza, vedo finalmente una sedia di paglia con alcuni giornali e un’altra sedia di paglia con un uomo piuttosto grasso seduto immobile, come Buddha, che mi vedeva avvicinare. Arrivo ansante davanti a lui e gli dico: “Scusi, ce l’ha l’ultimo numero de Les Nouvelles littéraires?” “PRRRRRRRRRRR!” un pernacchione gigantesco per tutta risposta. Aveva perfettamente ragione. Io voltai le spalle zoppicando e me ne ritornai al treno.

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Andrea Camilleri