Giunti Editore

— Parola all'autore

La famiglia è il viaggio più avventuroso

La famiglia è il viaggio più avventuroso

Ho cominciato a scrivere Sud al rientro da un memorabile viaggio in Rajasthan. Non ho idea se ci sia stato un rapporto di causa ed effetto tra le due cose: non so se in India si sia sbloccato qualche chakra, so che avevo appena compiuto sessant’anni e a certe età è sconsigliabile perdere tempo. Perciò mi sono messo a scrivere di gran carriera e, in una manciata di mesi, ho finito. Devo aggiungere che, durante il viaggio, ho letto la famosa Indian Trilogy di V.S. Naipaul e il suo splendore deve avermi indotto se non altro a lavorare. Comunque, il mio libro non c’entra niente con l’India. Ed è un romanzo, non un memoir né un racconto di viaggio, come l’opera di Naipaul: anche se non posso negare che, trattandosi nel mio caso di una saga di famiglia ambientata nel Meridione italiano durante l’arco di mezzo secolo (più o meno tra il 1920 e il 1970), in fondo per me si è trattato di uno dei viaggi più avventurosi e sorprendenti che potessi intraprendere. Perché nulla è più imprevedibile delle proprie radici.

Mentre scrivevo ho letto Le metamorfosi di Ovidio. Il viaggio in India mi aveva fatto sentire la vicinanza che quella cultura continua ad avere col mito, e così pensavo che l’ultima volta in cui l’Occidente si è trovato in una simile prossimità risaliva al mondo classico. Il sud dell’Italia è pieno delle sue tracce: sono nato in quella che era una colonia magnogreca, quando ero un ragazzo vedevo intorno a me più colonne e capitelli che alberi. Leggere Ovidio poteva insomma aiutarmi a riascoltare la voce del mito e insieme a liberare lo sguardo da tutti i luoghi comuni retorici e sociologici che affliggono l’immagine del nostro Meridione: che poi ci sia riuscito, questo è naturalmente da vedere. E temo di non essere la persona più indicata a dirlo.

Per una curiosa coincidenza, subito dopo aver terminato la stesura di Sud, ho letto I viceré di Federico De Roberto. Mea culpa: non lo avevo mai letto prima. In un certo senso, è stata una fortuna perché altrimenti, abbagliato dalla grandezza di quel testo, non mi sarei mai messo alla prova con un racconto storico-famigliare di analoga ambientazione (in Sud, tuttavia, la Sicilia non c’è: ci sono la Calabria, e Napoli, Ischia e la Puglia, ma non la Sicilia).

A ogni modo, a Naipaul, Ovidio e De Roberto va la mia personale gratitudine e quella del romanzo che ho scritto. Senza di loro, al di là dei risultati, il libro e io saremmo infinitamente più poveri.

Mario Fortunato