In occasione dei cent'anni dalla nascita di Gesualdo Bufalino abbiamo chiesto a Lucia Scuderi, che ha illustrato per noi l'edizione del centenario di Favola del castello senza tempo, cosa significhi tradurre in immagini un autore del genere e come si è mossa per trovare la strada più adatta ad affrontare una simile impresa.
Illustrare un testo di Gesualdo Bufalino è stato per me un privilegio, e lo dico fuori da ogni retorica. Di Bufalino conoscevo Diceria dell’untore e L’uomo invaso, raccolta che ho amato molto; ignoravo che avesse scritto una favola o alcunché per bambini – tanto che in prima battuta pensavo fosse un inedito –, comunque sia ero felice, era una grande occasione di lavorare su un testo profondamente diverso da quelli che avevo illustrato in precedenza, e in più molto importante. E la sicilianitudine, latente di solito in me, mi ha fatto sentire fiera di essere io a trasformare in immagini un gigante, siciliano, della letteratura del Novecento...
La prima lettura di un testo da illustrare è molto importante, perché è in questo momento che di solito si accendono le prime immagini. E dico di solito perché in questo caso non è andata così. Sarà stata la paura o la responsabilità che pesava sui miei occhi, o anche la complessità del tema, ma questa volta ho dovuto leggere il testo più volte prima di riuscire a penetrarlo, prima di riuscire ad aprire le parole alle mie immagini.
Ma una volta entrata confesso che avrei voluto fare il doppio delle illustrazioni, perché ogni rigo mi portava suggestioni nuove, grazie alla lingua di Bufalino, stratificata di significati ad ogni parola. Il momento di svolta è stato scegliere il punto di vista, non raccontare la storia, ma entrare dentro la narrazione e “indossare lo sguardo”, come scrive Nadia Terranova nell’introduzione, di Dino, il bambino protagonista, che infatti nella storia non compare mai.
Così sono arrivata, in punta di piedi, a quella lettura speciale che un illustratore fa quando si cominciano a realizzare i primi bozzetti, lasciando risuonare dentro di me le immagini che il testo evoca. Volevo che ci fosse la Sicilia, ma la Sicilia ha tante facce, e ho scelto quella dell’interno, con l’ocra dei campi di frumento delle colline estive, attorno alle rocche solitarie, che sembrano castelli scolpiti dal vento. Il castello è stata la prima immagine che ho realizzato.
L’atmosfera è inquietante ma Dino non è spaventato, è piuttosto curioso, affascinato, “un seduttore di spettri” come si definisce lo stesso Bufalino, e così volevo che anche le illustrazioni più paurose fossero però affascinanti, ammalianti. Tra le mie preferite ci sono le larve immortali, questi esseri liquidi e mutanti, fantasmi luminescenti che non svelano mai fino in fondo il proprio aspetto.
Il mio lavoro di illustratrice è sempre in bilico tra la necessità di tradire il testo e l’esigenza di mettersi al servizio di esso, ma capite bene che tradire Bufalino mi faceva tremare. Così ho cercato tra il non detto gli snodi della storia che lasciassero spazio all’immaginazione, che aprissero lo sguardo ad altre percezioni. Come in tutte le narrazioni, anche in quella per immagini è importante trovare il registro adatto, diverso per ogni storia ma che sia anche fedele a me stessa. Per Favola del castello senza tempo volevo che fosse surreale, onirico, un’atmosfera tra sogno, incanto e realtà, in un dipanarsi di piccole sorprese, illustrazione dopo illustrazione, dal bosco blu, attraverso le metamorfosi, al gigante a guardia dell’ingresso del castello, alla “nobile tristezza” del castellano ritratto all’infinito, passando per l’ingannevole quiete del giardino segreto, l’angoscia delle larve, la vecchiaia subitanea fino al riaffiorare della realtà con un tributo all’amata Comiso dell'autore. Complice prezioso, in questo desiderio, è stata la pennellata sintetica e fluida dell’acquerello, che negli anni ho sperimentato anche in alcune declinazioni non convenzionali.
Il tema della morte e del suo bagaglio di paure, tanto caro a Bufalino, per quanto tentiamo di rimuoverlo è di casa nelle fiabe, soprattutto in quelle della tradizione, nella loro versione originale, nate come narrazione trasversale per grandi e piccoli indistintamente; tutta moderna è la censura di questo necessario e inevitabile aspetto della vita nella letteratura per l’infanzia. Senza addentrarmi in un campo che non è il mio, vorrei dire che, secondo me, questa favola porta con sé anche un’importante occasione di riflessione su uno dei grandi tabù dei nostri tempi.