Consegnati al silenzio
Un poeta di oggi, “consegnato al silenzio” nella
babele assordante del mondo, riporta in vita voci
e storie: dagli archibugieri del ’600 fino al nonno
e al padre, Paolo Fabrizio Iacuzzi gioca con la
storia personale e collettiva come un apprendista
stregone, nuovo Prometeo o Frankenstein armato
solo di parole, tra la malinconia e il riso, il male
e il bene riporta in vita i morti mettendoli in
relazione con i vivi, per sottrarli al silenzio senza
tuttavia violarne il mistero.
Comica e tragica al tempo stesso, la lingua si piega
a rappresentare il male, “soprattutto quello più
bizzarro, perché si nasconde negli organi vitali
del corpo e non dà segni evidenti di vita ma
è diventato un virale doppio d’amore”; entra dentro
ogni corpo, in una ricerca continua dell’origine
della malattia e della sua possibile guarigione.
Uno dopo l’altro, i versi compongono una sorta
di autobiopsia personale e collettiva nel tentativo
di consegnare all’eternità se stessi e gli altri.
Un poeta di oggi, “consegnato al silenzio” nella
babele assordante del mondo, riporta in vita voci
e storie: dagli archibugieri del ’600 fino al nonno
e al padre, Paolo Fabrizio Iacuzzi gioca con la
storia personale e collettiva come un apprendista
stregone, nuovo Prometeo o Frankenstein armato
solo di parole, tra la malinconia e il riso, il male
e il bene riporta in vita i morti mettendoli in
relazione con i vivi, per sottrarli al silenzio senza
tuttavia violarne il mistero.
Comica e tragica al tempo stesso, la lingua si piega
a rappresentare il male, “soprattutto quello più
bizzarro, perché si nasconde negli organi vitali
del corpo e non dà segni evidenti di vita ma
è diventato un virale doppio d’amore”; entra dentro
ogni corpo, in una ricerca continua dell’origine
della malattia e della sua possibile guarigione.
Uno dopo l’altro, i versi compongono una sorta
di autobiopsia personale e collettiva nel tentativo
di consegnare all’eternità se stessi e gli altri.