Il fondaco nudo
Agglomerato di case decadenti e fetide dagli ingressi bui
e senza finestre, “fondaco” è la parola chiave che schiude
un mondo che ancora è presente nella memoria dei napoletani.
In questa rielaborazione di racconti e saggi pubblicata
nel 1985, Domenico Rea mette nuovamente sotto la lente
di ingrandimento gli effetti del degrado e dei grandi contrasti
sociali prodotti dagli interessi economici della modernità.
Il fondaco nudo è l’orrore della città guardato senza infingimenti.
Sono storie modulate sulla contrapposizione netta tra passato
e presente, tra la velocità della società odierna e l’immobilità
della plebe, denominatore comune dei diversi passaggi del
libro, diviso in tre sezioni che abbracciano ciascuna un arco
temporale diverso: “Medioevo”, che corrisponde agli anni trenta
e quaranta, “Interregno”, dal dopoguerra agli anni sessanta, e
“Work in progress”, che racconta l’epoca più recente, quella
dell’industrializzazione avanzata, in cui la Napoli di ieri – “la città
più bella del mondo, la più ricca, la più popolosa, la più allegra”
ma anche “la più povera e la più sporca” – è solo un ricordo.
Agglomerato di case decadenti e fetide dagli ingressi bui
e senza finestre, “fondaco” è la parola chiave che schiude
un mondo che ancora è presente nella memoria dei napoletani.
In questa rielaborazione di racconti e saggi pubblicata
nel 1985, Domenico Rea mette nuovamente sotto la lente
di ingrandimento gli effetti del degrado e dei grandi contrasti
sociali prodotti dagli interessi economici della modernità.
Il fondaco nudo è l’orrore della città guardato senza infingimenti.
Sono storie modulate sulla contrapposizione netta tra passato
e presente, tra la velocità della società odierna e l’immobilità
della plebe, denominatore comune dei diversi passaggi del
libro, diviso in tre sezioni che abbracciano ciascuna un arco
temporale diverso: “Medioevo”, che corrisponde agli anni trenta
e quaranta, “Interregno”, dal dopoguerra agli anni sessanta, e
“Work in progress”, che racconta l’epoca più recente, quella
dell’industrializzazione avanzata, in cui la Napoli di ieri – “la città
più bella del mondo, la più ricca, la più popolosa, la più allegra”
ma anche “la più povera e la più sporca” – è solo un ricordo.