Damè
Si chiama Mirì, Mirì Saito:
suo padre è giapponese, ma i suoi genitori
si sono separati presto e lei è cresciuta a Roma
con la madre italiana. Quando, da adolescente, comincia a trascorrere lunghe vacanze a Tokyo dalla famiglia paterna, una delle prime parole che impara è damè, “non si fa”. Sono molte le cose che una ragazza perbene non deve fare, come sedersi a gambe incrociate oppure fissare
una persona negli occhi.
Per Mirì il rovescio della realtà giapponese è quella romana che a ogni passo la seduce e al tempo stesso la fa sentire straniera: Roma è
una città dalle viscere aperte, abitata da gabbiani
che si nutrono dei suoi scarti e da maschi
che ti guardano quando passi per strada.
È per questo che Mirì accetta il corteggiamento di Rugantino, che nella sua romanesca mediocrità le pare il viatico verso un ancoraggio esistenziale prima ancora che amoroso, una salvezza per chi come lei, nel galleggiare tra due culture e due mondi, non ha raggiunto nessuno degli obiettivi più ovvi: l’amore, la carriera, i figli.
Ma esistono persone per le quali cercare
una comfort zone equivale a uscire definitivamente dalla propria, solo perché
non hanno saputo riconoscerla.
Sarà così che Mirì, con i suoi piccoli passi eleganti, camminerà in equilibrio sul bordo tagliente della morale, del sesso, del desiderio
in cerca di un’identità tutta sua, in cui nessuno possa mai dire damè, non si fa.
Attraverso la voce libera, amara e romantica
di Mirì Saito, Noemi Abe esordisce
con un romanzo audace, capace di raccontarci
l’intensità e la malinconia con cui
i nostri corpi e i luoghi nei quali viviamo
entrano in risonanza.
Si chiama Mirì, Mirì Saito:
suo padre è giapponese, ma i suoi genitori
si sono separati presto e lei è cresciuta a Roma
con la madre italiana. Quando, da adolescente, comincia a trascorrere lunghe vacanze a Tokyo dalla famiglia paterna, una delle prime parole che impara è damè, “non si fa”. Sono molte le cose che una ragazza perbene non deve fare, come sedersi a gambe incrociate oppure fissare
una persona negli occhi.
Per Mirì il rovescio della realtà giapponese è quella romana che a ogni passo la seduce e al tempo stesso la fa sentire straniera: Roma è
una città dalle viscere aperte, abitata da gabbiani
che si nutrono dei suoi scarti e da maschi
che ti guardano quando passi per strada.
È per questo che Mirì accetta il corteggiamento di Rugantino, che nella sua romanesca mediocrità le pare il viatico verso un ancoraggio esistenziale prima ancora che amoroso, una salvezza per chi come lei, nel galleggiare tra due culture e due mondi, non ha raggiunto nessuno degli obiettivi più ovvi: l’amore, la carriera, i figli.
Ma esistono persone per le quali cercare
una comfort zone equivale a uscire definitivamente dalla propria, solo perché
non hanno saputo riconoscerla.
Sarà così che Mirì, con i suoi piccoli passi eleganti, camminerà in equilibrio sul bordo tagliente della morale, del sesso, del desiderio
in cerca di un’identità tutta sua, in cui nessuno possa mai dire damè, non si fa.
Attraverso la voce libera, amara e romantica
di Mirì Saito, Noemi Abe esordisce
con un romanzo audace, capace di raccontarci
l’intensità e la malinconia con cui
i nostri corpi e i luoghi nei quali viviamo
entrano in risonanza.