Storia aperta
“Chi siamo noi?”, ci chiediamo all’inizio
di questo romanzo. “Noi siamo ignoranti.
Noi siamo, in miliardi di pixel, gli eredi”, coloro
che vivono ormai fuori della linearità storica,
dove il solo modo per capire i nostri padri
è studiare. Così, in principio c’è un padre
bambino, appena nato e già pronto ad affrontare
il Novecento perché è un “bambino diacronico”,
“creatura della durata”. Grazie alle parole che
ha scritto – perché i bambini diacronici hanno
lasciato montagne di parole, con le loro grafie
sghembe, i loro dattiloscritti, telegrammi,
articoli, faldoni – possiamo seguirne i passi
attraverso il secolo breve, che non lo è stato
affatto per chi come lui lo ha vissuto in ogni suo
palpito. L’educazione fascista, l’amore con
Michela, l’Etiopia, il fronte greco-albanese;
la consapevolezza, l’adesione al comunismo,
la Resistenza; la militanza politica che assorbe
ogni altra vocazione, anche quella di padre,
di scrittore; il terrorismo, poi il destino
del partito, le verità, la perdita di identità; la
vecchiaia come un “brodo sugli occhi” attraverso
cui cercare di credere ancora. Questa la sorte
di Pietro Migliorisi, protagonista di Storia
aperta ed eteronimo di tanti uomini e donne
della sua generazione: Davide Orecchio li riporta
in vita attraverso una vertiginosa tessitura delle
proprie parole e di quelle (in larghissima parte
inedite) lasciate dal padre Alfredo Orecchio,
insieme ai testi di molti comprimari, di cui
nella Nota finale è offerto un toccante catalogo.
In queste pagine avviene una moderna nékyia,
la rievocazione di coloro che vissero in un tempo
altro, nel quale splendeva il sole dell’avvenire,
e si compie l’impresa di un romanzo in cui
la polvere di tante voci ne compone una sola.
Davide Orecchio insegue il mistero di un padre
sconosciuto, ne indaga le traiettorie possibili,
si impone un ferreo rigore documentario ma
al tempo stesso permette alla fantasia di colmare
lacune, sognare destini. Nel silenzio del passato,
nel buio dell’inchiostro, cerca la luce.
“Chi siamo noi?”, ci chiediamo all’inizio
di questo romanzo. “Noi siamo ignoranti.
Noi siamo, in miliardi di pixel, gli eredi”, coloro
che vivono ormai fuori della linearità storica,
dove il solo modo per capire i nostri padri
è studiare. Così, in principio c’è un padre
bambino, appena nato e già pronto ad affrontare
il Novecento perché è un “bambino diacronico”,
“creatura della durata”. Grazie alle parole che
ha scritto – perché i bambini diacronici hanno
lasciato montagne di parole, con le loro grafie
sghembe, i loro dattiloscritti, telegrammi,
articoli, faldoni – possiamo seguirne i passi
attraverso il secolo breve, che non lo è stato
affatto per chi come lui lo ha vissuto in ogni suo
palpito. L’educazione fascista, l’amore con
Michela, l’Etiopia, il fronte greco-albanese;
la consapevolezza, l’adesione al comunismo,
la Resistenza; la militanza politica che assorbe
ogni altra vocazione, anche quella di padre,
di scrittore; il terrorismo, poi il destino
del partito, le verità, la perdita di identità; la
vecchiaia come un “brodo sugli occhi” attraverso
cui cercare di credere ancora. Questa la sorte
di Pietro Migliorisi, protagonista di Storia
aperta ed eteronimo di tanti uomini e donne
della sua generazione: Davide Orecchio li riporta
in vita attraverso una vertiginosa tessitura delle
proprie parole e di quelle (in larghissima parte
inedite) lasciate dal padre Alfredo Orecchio,
insieme ai testi di molti comprimari, di cui
nella Nota finale è offerto un toccante catalogo.
In queste pagine avviene una moderna nékyia,
la rievocazione di coloro che vissero in un tempo
altro, nel quale splendeva il sole dell’avvenire,
e si compie l’impresa di un romanzo in cui
la polvere di tante voci ne compone una sola.
Davide Orecchio insegue il mistero di un padre
sconosciuto, ne indaga le traiettorie possibili,
si impone un ferreo rigore documentario ma
al tempo stesso permette alla fantasia di colmare
lacune, sognare destini. Nel silenzio del passato,
nel buio dell’inchiostro, cerca la luce.