Nascita di un capolavoro del cinema
Lone Butte, 1947. Robby, cinque anni e una
spiccata propensione per il disegno, incontra per
la prima volta il leggendario zio Bob, appena
tornato dalla guerra. Bob arriva in moto, ha l’aria
sciupata ma affascinante e per Robby diventa
subito un eroe: e lo resta anche quando sparisce,
o forse proprio per quello.
Oakland, 1971. Robby, diventato un autore di
fumetti underground, riceve una lettera dallo zio
Bob. Rievocando quello straordinario incontro,
ricordando i giornalini che lo zio gli aveva regalato,
crea un personaggio plasmato sul giovane veterano.
È così che nasce La leggenda dell’Incendiario.
New Mexico, 2020. Bill Johnson, regista affermato,
una passione per il golf e le macchine da scrivere,
riscopre per caso il fumetto del 1971 e decide
di farne un film di supereroi: Guerriera insonne.
Da qui in poi il romanzo si sposta a Lone Butte,
il paesino di Robby e zio Bob che si rivela un set
naturale perfetto, e si accendono tutte le
dinamiche che possono fare di un film un trionfo
o un disastro, a partire dal materiale umano:
entrano in scena OKB, l’attore capriccioso e
narciso che deve interpretare l’Incendiario; Wren,
antidiva intelligente e sensibile, ovvero Eve la
Guerriera, l’eroina che non dorme mai; e una folla
di tecnici, attrezzisti, vecchi attori di talento, più
due donne eccezionali a cui spetta di far funzionare
la macchina, dall’alto e dal basso: Al, la produttrice
che per rilassarsi lavora a maglia, e Ynez, promossa
sul campo da tassista a prodigiosa factotum.
Dopo i racconti di Tipi non comuni Tom Hanks
torna alla scrittura con una storia che celebra
il grande cinema di oggi e di sempre, tra assilli
di tempo e denaro e grandiose aspirazioni,
raccontando come si fa, come si dovrebbe fare
un film. Si ride, si piange, si rievoca la Hollywood
di una volta, si leggono i fumetti che sono al
cuore della storia (scritti da Hanks e illustrati da
R. Sikoryak) e si scivola fuori dalle pagine di
questo romanzo con quel misto di gioia indefinita
e istantanea nostalgia che ancora ci prende
quando usciamo da un cinema e per un istante
non sappiamo dove siamo.
Lone Butte, 1947. Robby, cinque anni e una
spiccata propensione per il disegno, incontra per
la prima volta il leggendario zio Bob, appena
tornato dalla guerra. Bob arriva in moto, ha l’aria
sciupata ma affascinante e per Robby diventa
subito un eroe: e lo resta anche quando sparisce,
o forse proprio per quello.
Oakland, 1971. Robby, diventato un autore di
fumetti underground, riceve una lettera dallo zio
Bob. Rievocando quello straordinario incontro,
ricordando i giornalini che lo zio gli aveva regalato,
crea un personaggio plasmato sul giovane veterano.
È così che nasce La leggenda dell’Incendiario.
New Mexico, 2020. Bill Johnson, regista affermato,
una passione per il golf e le macchine da scrivere,
riscopre per caso il fumetto del 1971 e decide
di farne un film di supereroi: Guerriera insonne.
Da qui in poi il romanzo si sposta a Lone Butte,
il paesino di Robby e zio Bob che si rivela un set
naturale perfetto, e si accendono tutte le
dinamiche che possono fare di un film un trionfo
o un disastro, a partire dal materiale umano:
entrano in scena OKB, l’attore capriccioso e
narciso che deve interpretare l’Incendiario; Wren,
antidiva intelligente e sensibile, ovvero Eve la
Guerriera, l’eroina che non dorme mai; e una folla
di tecnici, attrezzisti, vecchi attori di talento, più
due donne eccezionali a cui spetta di far funzionare
la macchina, dall’alto e dal basso: Al, la produttrice
che per rilassarsi lavora a maglia, e Ynez, promossa
sul campo da tassista a prodigiosa factotum.
Dopo i racconti di Tipi non comuni Tom Hanks
torna alla scrittura con una storia che celebra
il grande cinema di oggi e di sempre, tra assilli
di tempo e denaro e grandiose aspirazioni,
raccontando come si fa, come si dovrebbe fare
un film. Si ride, si piange, si rievoca la Hollywood
di una volta, si leggono i fumetti che sono al
cuore della storia (scritti da Hanks e illustrati da
R. Sikoryak) e si scivola fuori dalle pagine di
questo romanzo con quel misto di gioia indefinita
e istantanea nostalgia che ancora ci prende
quando usciamo da un cinema e per un istante
non sappiamo dove siamo.