L’acqua del lago non è mai dolce
Odore di alghe limacciose e sabbia densa,
odore di piume bagnate. È un antico cratere,
ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano,
dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma,
la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla
testardaggine che da sola si occupa di un marito
disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima,
Antonia non scende a compromessi, Antonia
crede nel bene comune eppure vuole insegnare
alla sua unica figlia femmina a contare solo
sulla propria capacità di tenere alta la testa.
E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni
giorno su un regionale per andare a scuola,
a leggere libri, a nascondere il telefonino in una
scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche
se le correnti tirano verso il fondo.
Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini
chini il capo: invece quando leva lo sguardo
i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto
di ragionevolezza precipita dentro di lei come
in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio
in sella a un motorino. Alla banalità insapore
della vita, a un torto subìto Gaia reagisce con
violenza imprevedibile, con la determinazione
di una divinità muta.
Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici
crescono in un mondo dal quale le grandi
battaglie politiche e civili sono lontane, vicino
c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti
posseduti o negati, dei primi sms, le acque
immobili di un’esistenza priva di orizzonti.
Giulia Caminito dà vita a un romanzo ancorato
nella realtà e insieme percorso da un’inquietudine
radicale, che fa di una scrittura essenziale
e misurata, spigolosa e poetica l’ultimo baluardo
contro i fantasmi che incombono. Il lago è uno
specchio magico: sul fondo, insieme al presepe
sommerso, vediamo la giovinezza, la sua ostinata
sfida all’infelicità.
Odore di alghe limacciose e sabbia densa,
odore di piume bagnate. È un antico cratere,
ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano,
dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma,
la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla
testardaggine che da sola si occupa di un marito
disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima,
Antonia non scende a compromessi, Antonia
crede nel bene comune eppure vuole insegnare
alla sua unica figlia femmina a contare solo
sulla propria capacità di tenere alta la testa.
E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni
giorno su un regionale per andare a scuola,
a leggere libri, a nascondere il telefonino in una
scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche
se le correnti tirano verso il fondo.
Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini
chini il capo: invece quando leva lo sguardo
i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto
di ragionevolezza precipita dentro di lei come
in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio
in sella a un motorino. Alla banalità insapore
della vita, a un torto subìto Gaia reagisce con
violenza imprevedibile, con la determinazione
di una divinità muta.
Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici
crescono in un mondo dal quale le grandi
battaglie politiche e civili sono lontane, vicino
c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti
posseduti o negati, dei primi sms, le acque
immobili di un’esistenza priva di orizzonti.
Giulia Caminito dà vita a un romanzo ancorato
nella realtà e insieme percorso da un’inquietudine
radicale, che fa di una scrittura essenziale
e misurata, spigolosa e poetica l’ultimo baluardo
contro i fantasmi che incombono. Il lago è uno
specchio magico: sul fondo, insieme al presepe
sommerso, vediamo la giovinezza, la sua ostinata
sfida all’infelicità.