La cura dello sguardo
Percorrendo l’Italia palmo a palmo, nella sua
paziente auscultazione del mondo, già da tempo
Franco Arminio registrava una epidemia in corso:
quella dell’“autismo corale”, che ci vede rinchiusi
dietro i nostri piccoli schermi, impegnati in una
comunicazione che ha perso ardore e vitalità.
In queste pagine il poeta torna a offrirci le sue
parole come fiaccole per illuminare il presente,
offrendo il suo stesso corpo come testimonianza,
come repertorio di tentativi e rimedi:
“Ho vanamente cercato la guarigione scrivendo.
La ferita è ancora qui. Con il tempo mi sono
cresciuti dentro consigli che posso dare, piccoli
precetti fatti in casa.”
Le pagine di questo nuovo libro di Arminio
sono fitte come gli scaffali di un antico speziale,
allineano racconti visionari accanto a vere
e proprie orazioni civili, che pongono domande
e chiedono risposte con vibrante ostinazione.
La cura invocata passa sempre attraverso
una lingua che si fa strumento di conoscenza,
alla ricerca di una comunicazione, di un senso
condiviso, di quella intima vicinanza della quale
abbiamo tutti più che mai bisogno. E se non
ci sono certezze, se tutti siamo un po’ più fragili,
a curarci sopraggiunge la fiducia nella capacità
delle parole di unire i nostri sguardi “per fare
comunità, per dare coraggio al bene”.
Percorrendo l’Italia palmo a palmo, nella sua
paziente auscultazione del mondo, già da tempo
Franco Arminio registrava una epidemia in corso:
quella dell’“autismo corale”, che ci vede rinchiusi
dietro i nostri piccoli schermi, impegnati in una
comunicazione che ha perso ardore e vitalità.
In queste pagine il poeta torna a offrirci le sue
parole come fiaccole per illuminare il presente,
offrendo il suo stesso corpo come testimonianza,
come repertorio di tentativi e rimedi:
“Ho vanamente cercato la guarigione scrivendo.
La ferita è ancora qui. Con il tempo mi sono
cresciuti dentro consigli che posso dare, piccoli
precetti fatti in casa.”
Le pagine di questo nuovo libro di Arminio
sono fitte come gli scaffali di un antico speziale,
allineano racconti visionari accanto a vere
e proprie orazioni civili, che pongono domande
e chiedono risposte con vibrante ostinazione.
La cura invocata passa sempre attraverso
una lingua che si fa strumento di conoscenza,
alla ricerca di una comunicazione, di un senso
condiviso, di quella intima vicinanza della quale
abbiamo tutti più che mai bisogno. E se non
ci sono certezze, se tutti siamo un po’ più fragili,
a curarci sopraggiunge la fiducia nella capacità
delle parole di unire i nostri sguardi “per fare
comunità, per dare coraggio al bene”.