Il ricco e il povero
Axel Jordache è un fornaio immigrato dalla
Germania negli Stati Uniti: sposato con l’orfana
Mary, passa la vita a lavorare senza risparmiarsi
inseguendo l’illusione dell’agio modesto che
otterrebbe se solo riuscisse ad aprire un piccolo
ristorante tutto suo. Cosa che non accadrà.
Siamo a Port Philip, sulle rive del fiume Hudson,
non lontano da New York. Il sogno non può che
scorrere nel sangue della prossima generazione,
che cresce e desidera grandi cambiamenti mentre
la seconda guerra mondiale sta per finire.
Ciascuno dei tre giovani Jordache possiede
la stessa avidità di vivere meglio e avere di più,
ma ciascuno la declina a modo suo: Gretchen
si lascia prendere da una storia con il suo capo
e continuerà a inseguire l’amore attraverso due
matrimoni; Tom, insolente e ribelle, trova i suoi
compagni di strada nei bassifondi e il suo
compimento in una carriera da pugile; l’ambizioso
Rudolph disegna a freddo una carriera modellata
sull’esempio del magnate locale, Teddy Boylan,
e avrà il mondo in pugno. E intanto la Storia
corre e preme là fuori, un quarto di secolo in cui
accade di tutto.
Anche Irwin Shaw, come Axel Jordache, era
figlio di un piccolo commerciante; il suo sogno
americano è passato attraverso il Brooklyn
College, la vita di sceneggiatore a Hollywood,
la guerra in Europa e un successo sempre più
largo e solido: “Sono considerato soltanto uno
scrittore popolare,” disse in un’intervista rilasciata
per i suoi settant’anni. “Ma lo sono stati anche
Tolstoj, Dickens e Balzac, e il fantasma che
veglia su tutti noi, Shakespeare.” Con sei milioni
di copie vendute all’epoca, Il ricco e il povero, qui
nella traduzione di Attilio Veraldi, è stato e resta
un modello di epica americana: una lettura
asciutta e trascinante, un ritratto di famiglia
nel mondo e, nelle parole di Mario Fortunato,
un esempio di come “il romanzo è tuttora l’unico
strumento affidabile di conoscenza che l’umanità
abbia elaborato per riuscire a comprendere
qualcosa di sé stessa.”
Axel Jordache è un fornaio immigrato dalla
Germania negli Stati Uniti: sposato con l’orfana
Mary, passa la vita a lavorare senza risparmiarsi
inseguendo l’illusione dell’agio modesto che
otterrebbe se solo riuscisse ad aprire un piccolo
ristorante tutto suo. Cosa che non accadrà.
Siamo a Port Philip, sulle rive del fiume Hudson,
non lontano da New York. Il sogno non può che
scorrere nel sangue della prossima generazione,
che cresce e desidera grandi cambiamenti mentre
la seconda guerra mondiale sta per finire.
Ciascuno dei tre giovani Jordache possiede
la stessa avidità di vivere meglio e avere di più,
ma ciascuno la declina a modo suo: Gretchen
si lascia prendere da una storia con il suo capo
e continuerà a inseguire l’amore attraverso due
matrimoni; Tom, insolente e ribelle, trova i suoi
compagni di strada nei bassifondi e il suo
compimento in una carriera da pugile; l’ambizioso
Rudolph disegna a freddo una carriera modellata
sull’esempio del magnate locale, Teddy Boylan,
e avrà il mondo in pugno. E intanto la Storia
corre e preme là fuori, un quarto di secolo in cui
accade di tutto.
Anche Irwin Shaw, come Axel Jordache, era
figlio di un piccolo commerciante; il suo sogno
americano è passato attraverso il Brooklyn
College, la vita di sceneggiatore a Hollywood,
la guerra in Europa e un successo sempre più
largo e solido: “Sono considerato soltanto uno
scrittore popolare,” disse in un’intervista rilasciata
per i suoi settant’anni. “Ma lo sono stati anche
Tolstoj, Dickens e Balzac, e il fantasma che
veglia su tutti noi, Shakespeare.” Con sei milioni
di copie vendute all’epoca, Il ricco e il povero, qui
nella traduzione di Attilio Veraldi, è stato e resta
un modello di epica americana: una lettura
asciutta e trascinante, un ritratto di famiglia
nel mondo e, nelle parole di Mario Fortunato,
un esempio di come “il romanzo è tuttora l’unico
strumento affidabile di conoscenza che l’umanità
abbia elaborato per riuscire a comprendere
qualcosa di sé stessa.”